Il nuovo governo Renzi, in sostanza, promette di tagliare spesa pubblica e tasse con una velocità e incisività maggiori di quelle del governo Letta che aveva il medesimo programma, ma eseguito in modi indecisi. Apparentemente la discontinuità riguarda la conduzione personale dell’esecutivo e non l’indirizzo politico. Ma proprio questo genera interrogativi.



Dal 2011 la politica economica italiana ha la priorità, per imposizione europea, di garantire il debito pubblico italiano (2 trilioni di euro) con il patrimonio/risparmio privato degli italiani (8 trilioni) ovvero a far prevalere l’ordine contabile, via prelievo fiscale, sulla crescita. Inoltre, l’idea tedesca di riequilibrio finanziario dell’Italia è quella di far ripagare la metà del debito pubblico, circa un trilione, prelevandolo nel tempo dal risparmio/patrimonio italiano.



Tale idea è stata accettata dall’Italia quando siglò l’eurotrattato “Fiscal compact” che prevede la riduzione del debito di un ventesimo ogni anno, a partire dal 2015/16, fino al raggiungimento di un rapporto debito/Pil del 60% del Pil, mentre ora è oltre il 130%, entro il vincolo del pareggio del bilancio ogni anno. Tale scelta dipende dal problema di come garantire il debito italiano affinché chi lo compra (rifinanzia) lo percepisca affidabile.

Due opzioni. Prima, la garanzia Bce come garante/prestatore di ultima istanza: permetterebbe di mantenere affidabile il debito senza ricorrere a salassi fiscali. Seconda, la garanzia nazionale e non europea via impiego del patrimonio privato italiano per ridurre il debito fino alla soglia di sostenibilità. La Germania ha vietato la prima e preteso la seconda opzione, orientando l’Italia verso un destino di deflazione dovuto a bassa crescita e drenaggio fiscale.



Monti e Letta hanno cercato di correggere questo destino con la strategia di mostrare che l’Italia era capace di darsi ordine per poi rinegoziare con Berlino termini meno distruttivi del Fiscal compact. Il primo è stato travolto da un eccesso di recessione indotta dalla stretta fiscale, il secondo da un “nein” detto da Merkel, nel dicembre 2013, quando tentò un primo avvio della rinegoziazione.

Interrogativi. Renzi saprà fare meglio di Letta oppure dovrà/vorrà cambiare strategia? Nel secondo caso, come? Riuscirà un governo prevalentemente di sinistra a tagliare spesa e tasse contro gli interessi del suo elettorato? Ipotesi: la risposta a queste domande è un allentamento del rigore europeo, via contestazione aperta della Germania, che darebbe lo spazio di bilancio per ridurre le tasse senza toccare troppo la spesa. Ma ciò implica un ricollocamento dell’Italia dall’area di influenza tedesca a quella americana.

 

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