L’arrivo di Renzi a palazzo Chigi comincia a destare qualche preoccupazione a Bruxelles. A mettere le mani avanti sull’ipotesi di rivedere i trattati europei, annunciata più volte dal nuovo premier, ieri è stato il commissario agli Affari economici Olli Rehn. “Sono fiducioso – ha detto – che l’Italia rimarrà impegnata a rispettare i trattati europei e, tra questi, anche quello di stabilità e crescita”. Dalle parole si è passati subito ai fatti: al momento Bruxelles non sembra disposta a concedere all’Italia la possibilità di utilizzare fin da quest’anno la clausola che permetterebbe di detrarre gli investimenti pubblici dal calcolo del disavanzo. Motivo: non sono stati mantenuti gli impegni a tenere sotto controllo le finanze pubbliche, attraverso una revisione della spesa. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, docente di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Il quale ci ha detto: «Gran parte dei paesi europei ha abbondantemente sforato il limite del 3%. Nel 2013 l’Italia è rimasta l’unico paese in crisi, o quasi, a rispettare il parametro del 3%. Ma è evidente che questa non è una situazione sostenibile».



Bruxelles è pronta a negarci la possibilità di detrarre gli investimenti dal deficit pubblico perché non abbiamo fatto la spending review. Cosa succederà adesso?

La spending review è certamente un’operazione auspicabile se consente di usare in modo più efficiente le risorse pubbliche a disposizione del bene comune. Ma questo richiede un’attenzione molto accurata nel ritaglio di ciò che è efficiente e di ciò che è inefficiente. Altrimenti…



Altrimenti?
Se accanto a ciò che è inefficiente si taglia anche ciò che corrisponde ai bisogni di un Paese civile allora il problema anziché risolversi si complica.

In che senso scusi?

Intendo dire che si può fare la spending review, ma dev’essere un’operazione di cesello. Che migliori la qualità della spesa e la sua efficienza, come molte volte si è detto ma poco si è fatto. Altrimenti l’effetto benefico degli investimenti si bilancia con il moltiplicatore negativo di una riduzione della spesa generalizzata che non distingue tra spesa efficiente e spesa pubblica che non risponde ai bisogni del Paese.



Al momento la Commissione europea non sembra intenzionata a concedere all’Italia la possibilità di detrarre gli investimenti dal deficit pubblico. Proprio perché mancano i tagli alla spesa pubblica.

L’opportunità di fare questa operazione è teoricamente scaduta, ma non credo si tratti di un termine definitivo. Resta da vedere cosa farà il governo che si va a formare.

Cosa potrebbe fare il nuovo governo?

Potrebbe ragionevolmente contrattare, non dico alcun cambiamento di regole che in questo momento non è certamente opportuno, quantomeno chiedere che si tenga conto del cambiamento che c’è stato a Palazzo Chigi. Resta da vedere dove andrà a incidere questa riduzione della spesa.

Secondo lei?

Certamente la riduzione dei privilegi è un segnale importante che va perseguito. Altra cosa è se questo segnale importante che comunque farebbe al Paese legittimasse il taglio anche di ciò che privilegio non è. Tanto per essere chiari…

 

Prego.

Se le ipotesi che vengono fatte riguardano una qualche forma di imposizione patrimoniale, o forme di ulteriore congelamento dei redditi da lavoro e da pensione in modo indifferenziato, se questo fosse un esito della spending review, il sicuro beneficio di un possibile aumento degli investimenti sarebbe in una certa misura ridimensionato. Per questo si tratta di fare un lavoro di cesello. Ce la faranno i nostri eroi? Non lo so.

 

Il calo dello spread, che ha abbassato il costo di rifinanziamento del debito, potrebbe far pesare di meno il fatto di non poter detrarre gli investimenti dal deficit pubblico?

No, non credo. O meglio, se si fa un’analisi seria della situazione non credo. Proprio perché la nostra è una situazione di sostanziale stagnazione, anche sul piano puramente formale e statistico. Se considerassimo il Pil o il Pil pro capite ma ancora più correttamente il reddito disponibile per famiglia scopriremmo che la situazione è, se non negativa, di sostanziale stasi, di stagnazione. In questo modo ci stiamo allontanando dai paesi che continuano a crescere, cioè in buona sostanza stiamo diventando un po’ più poveri.