Il mondo è definitivamente impazzito. Intendo quello della finanza, ovviamente. Come saprete, anche intuitivamente, quando accade qualcosa di traumatico – o di converso, di molto positivo – su una piazza azionaria o nell’economia di in un Paese, di solito l’interconnessione finanziaria fa in modo che quell’evento divenga catalizzatore del sentiment generale. Ovvero, se Tokyo chiude in spolvero, di solito l’Europa apre bene e se non arrivano notizie drammatiche, anche Wall Street assorbe la ventata di ottimismo. È la cosiddetta “scia”.
Bene, nella tarda serata di lunedì dalla Cina è giunta la notizia dei primi due default nel sistema bancario ombra, tamponati ma pur sempre accaduti. Wall Street era chiusa ma i futures sono in negoziazione continua, quindi avrebbero dovuto fare da barometro all’evento: crollo? Placidi. Il Giappone, poi, ha aperto ampiamente positivo e chiuso addirittura in rally al +3,13%. Perché? Presto detto: la Banca del Giappone ha confermato “a sorpresa” il volume di acquisti della sua politica espansiva. Sì, ma come tutto il mondo sa, il sistema bancario ombra cinese è un mostro che se traballa squassa tutto: basta l’annuncio della conferma di acquisti a raffica di Tokyo per trasformare Gozilla in Snoopy? Pare di sì.
E l’Europa? Dopo una chiusura così del Nikkei, avrà fatto esplodere i tappi di champagne. No. E sapete perché? Due motivi. Primo, l’annuncio a sorpresa della Banca del Giappone era talmente una sorpresa da essere già prezzato dai mercati. Secondo, a fronte del diluvio di yen che dovrebbe fare la gioia degli operatori, a guastare la festa è bastata una notizia interna all’eurozona. Piazza Affari e le altre piazze europee fin dall’apertura hanno accelerato al ribasso – salvo poi ritracciare nel corso della giornata – dopo che l’indice Zew relativo alle attese economiche in Germania a febbraio è sceso a piombo, dai 61,7 punti registrati a gennaio a 55,7 punti, mentre gli economisti avevano previsto che il dato restasse invariato. L’indice sulle condizioni correnti è invece salito oltre le attese passando da 41,2 a 50 punti, contro una lettura stimata di 44 punti.
E sapete cosa significa quest’ultimo dato? Che il consensus generale prevede che Draghi a marzo muoverà le truppe, come vi dicevo ieri quando sottolineavo l’irrituale levata di scudi Ewald Nowotny contro la Corte costituzionale tedesca sul programma di acquisto Omt. Ma come? Lo vedremo tra poco. «Le caute aspettative di febbraio sono causate probabilmente da nuove incertezze – spiegano gli economisti dell’istituto Zew – i deboli dati sull’occupazione hanno sollevato la preoccupazione che la ripresa Usa possa perdere slancio», così come suscitano apprensione le recenti turbolenze valutarie nei mercati emergenti. Clemens Fuest, uno degli economisti dell’istituto, ha invitato però a non sopravvalutare il calo in quanto «la maggior parte degli intervistati rimane ottimista». Contenti loro, contenti tutti.
E lo spread? In calo, quello italiano a 189 punti base (non succedeva da due anni e mezzo di andare sotto quota 190, questo Renzi è davvero un portento), quello spagnolo addirittura a 183. Il perché è presto detto. Sempre ieri, infatti, il Tesoro iberico ha collocato buoni a 6 e 12 mesi per 4,52 miliardi di euro, leggermente al di sopra dell’importo massimo previsto, piazzando titoli a 6 mesi per 930 milioni di euro, a fronte di una domanda pari a ben 5,9 volte l’offerta, a un tasso dello 0,382%, da confrontare con lo 0,510% dell’asta precedente. Sono stati poi collocati titoli a 12 mesi per 3,594 miliardi di euro a un rendimento dello 0,618% (0,726% nell’asta precedente), a fronte di una domanda pari a 2,5 volte l’offerta. Stiamo parlando dei minimi storici! Boh, forse non ho visto le ultime stime che danno la Spagna al 4,5% di crescita quest’anno, devono essermi sfuggiti.
Ironia a parte, perché da ridere c’è davvero poco, in questi giorni di consultazioni e scherzi telefonici stanno accadendo cose di fondamentale importanza per il futuro dell’Ue, cose che però la grande stampa non avrà il tempo o la voglia di dirvi, presa com’è a fare il toto-ministri, manco fosse la vecchia cara schedina della Sisal. Come vi dicevo prima, l’indice sulle condizioni correnti dello Zew in forte crescita sembra confermare un intervento a breve della Bce, quindi il disvelamento di quel mitologico bazooka di cui finora abbiamo solo sentito parlare. Ma se la Corte tedesca ha preso tempo fino ad aprile per pubblicare il suo verdetto sulla sua liceità, Draghi avrà la forza di bypassarla – visto che trattasi di giudizio di un organo istituzionale di un solo Paese, quindi ritenibile come non vincolante per l’intera Unione – e comprare se servirà?
I tassi ai minimi storici dei bond spagnoli di ieri ci suggerirebbero di sì, ma attenzione, perché un solo giornale al mondo ha reso nota ieri la posizione della Bundesbank al riguardo e non era europeo, bensì il Wall Street Journal. E quale sarebbe la scelta della Buba al riguardo, tramutatasi nei fatti in un annuncio anticipato di quanto sapremo a marzo? Fine delle aste di sterilizzazione per gli acquisti di bond da parte della Bce attraverso il programma Smp, di fatto ancora attivo solo perché l’Omt non è mai nato davvero, ma con un limitato potere di fuoco negli acquisti. Sarcastica la motivazione con cui l’istituto diretto di Jens Weidmann ha dato il via libera a questa così generosa concessione: «Stabilizzare i mercati monetari e cementare la volontà della Bce di mantenere una politica monetaria ultra-espansiva».
Peccato che una tale scelta, precluda due cose. Primo, ci fa capire che l’Omt verrà bocciato dalla Corte di Karlsruhe e a quel punto Berlino riterrà quel giudizio vincolante, ponendo il veto nel board dell’Eurotower, alla faccia dell’Ue e della non specificità dei vari membri. Secondo, che si toglie dal tavolo dei mercati l’aggettivo “illimitati” per gli acquisti di bond utilizzato da Mario Draghi quando disse che avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro. Come dire agli speculatori, avanti che tra poco c’è posto. Finora i tedeschi stanno mandando solo segnali in codice ma sono segnali pesanti che se dovessero essere recepiti non come tali ma come fatti dai mercati, potrebbero causarci guai molto seri: altro che i minimi storici dei bond iberici. Insomma, c’è poco da stare rilassati, nonostante gli indicatori finanziari sembrino parlare la lingua del paradiso terrestre.
Molti lettori ricorderanno come sul finire dello scorso anno misi tutti in guardia da possibili turbolenze o nette correzioni tra febbraio e marzo: beh, i prodromi ci sono tutti. E un grafico arrivato ieri sulla mia scrivania mi ha dato una conferma in più, oltre che fatto percorrere un brivido sulla schiena. Eccolo più in basso: ci dimostra plasticamente le posizioni “put”, ovvero difensive verso un rischio di downside dei mercati, correzioni, assunte dell’hedge fund di George Soros, non esattamente un novellino, né un’anima candida, nel mese di dicembre 2013. Sono cresciute, trimestre su trimestre, del 154% a quota 1,3 miliardi di dollari: il “filantropo” sa qualcosa che noi comuni mortali non sappiamo? E attenzione, quelle cifre si riferiscono a 45 giorni fa, cosa abbia fatto da allora, come si sia mosso il fondo non è dato a sapersi, visto che non esistono lettere informative agli investitori.
Mi sbaglierò ma temo che si stia sottovalutando – e di parecchio – quanto sta accadendo, presi come siamo dalla nostra ennesima crisi di governo. Come se il nostro destino non dipendesse dai mercati globali ma dalle bizze di qualcuno per un posto di qui o una poltrona di là. Sono molto chiaro: se a marzo l’annuncio di Draghi sarà quello dell’addio alla sterilizzazione degli acquisti di bond, senza un qualche strumento che garantisca una capacità di fuoco progressiva e una rapidità ed elasticità di intervento in caso di test da parte degli speculatori, sul mercato obbligazionario rischiamo davvero un mezzo terremoto. Altrimenti perché mentre le Borse di mezza Europa respiravano sulla parità a inizio pomeriggio, quella di Madrid – nonostante l’asta record – restava ancora a -0,85%? Ma così ha deciso la Bundesbank, scritto nero su bianco nel suo ultimo bollettino mensile, nessun’altra concessione. Una cosa mi chiedo infine e credo sarà il vero, grande argomento dei prossimi mesi: al netto di un quadro macro tale, per quanto ancora l’economia dell’eurozona può reggere un cambio euro/dollaro a 1,38? La Bce DEVE intervenire.