Per l’astronomica cifra di 19 miliardi di dollari Facebook ha acquistato WhatsApp, il gigante dell’instant messaging che ha rivoluzionato il mondo delle comunicazioni veloci quotidiane. L’operazione arriva a breve distanza da un’altra grande acquisizione: quella di Instagram, la piattaforma di condivisione videofotografica, che nel 2012 era costata a Facebook un altro miliardo di dollari. WhatsApp sta raggiungendo il miliardo di utenti in tutto il mondo, soglia che rende i suoi servizi “incredibilmente preziosi”, come ha fatto notare Mark Zuckerberg. Ogni 24 ore la società registra un milione di nuovi utenti ed è arrivata a processare 50 miliardi di messaggi al giorno. Di questo maxi accordo e di come potrebbero cambiare gli scenari ne abbiamo parlato con Paolo Spagnoletti, docente e ricercatore di Sistemi Informativi e Advanced Organization Design alla Luiss – Guido Carli di Roma.
Per ora, si dice, non c’è alcuna fusione in vista. I due colossi continueranno a operare su target diversi?
Non sono poi così diversi; Facebook e WhatsApp svolgono un po’ la stessa funzione che è quella di fare da identity provider per una serie di utenti. Entrambe hanno impostato il loro business sulla creazione e il mantenimento di un collegamento a un grafo, tenendo traccia di tutte le relazioni che si creano tra i loro utenti. Fb è partito dagli utenti del web, ha creato questo ipergrafo che si arricchisce ogni volta che un utente fa un’operazione on line, un like, pubblica un post, un contenuto multimediale, ecc. Ogni volta che viene fatta un’operazione di questo genere, l’operazione viene tracciata e arricchisce la conoscenza che Fb ha delle relazioni sociali della sua base di utenti.
WhatsApp invece?
WhatsApp fa la stessa cosa partendo però dagli utenti dei telefonini che oggi hanno la capacità di trasmettere dati su IP. Quelli di WhatsApp hanno fatto la mossa vincente sostituendo banalmente gli sms con un servizio più ricco. Ma che consente soprattutto di costruire piccoli gruppi. Come si vede, pur partendo da basi di utenti diverse, Fb e WhatsApp sono molto simili perché entrambe hanno creato gruppi e valorizzano i dati che si accumulano sulle relazioni sociali tra questi gruppi
Assicurano che su WhatsApp continuerà a non esserci pubblicità. Come fa a reggere un modello del genere?
Se non sbaglio, WhatsApp attualmente è gratuita per gli utenti iPhone mentre costa 99 centesimi l’anno, dopo il primo, per gli utenti di Android. Già questo, se si considera l’altissimo numero di utenti, fa capire come viene coperto il servizio che WhatsApp deve erogare, che ha dei costi bassissimi. Chiaramente dovendo adesso gestire una così larga base di utenti, la cosa diventa tecnologicamente complicata, mi riferisco al fatto di dover gestire tutte le trasmissioni in tempi rapidissimi. Ma dal punto di vista del software, WhatsApp è veramente una banalità: al punto che uno studente di ingegneria ha realizzato WhatsApp come tesi di laurea senza problemi. In più…
In più?
Quelli di WhatsApp hanno anche puntato sul fatto di dare l’applicazione gratis a tutti, di essere stati i primi, di affermarsi come l’applicazione che tiene in contatto piccoli gruppi che hanno la possibilità si scambiarsi contenuti al loro interno. Non dobbiamo vederla solo sotto l’aspetto della gratuità, o parziale gratuità, e che comunque costa pochissimo agli utenti: le entrate di WhatsApp sicuramente non arrivano solo da quel fronte
Da dove vengono?
Ogni volta che un utente pubblica qualcosa su WhatsApp, WhatsApp acquisisce informazioni su ciò che interessa a quell’utente. Se lei ha un gruppo di WhatsApp con quattro amici e parlate di qualcosa, chessò di nuove tecnologie, i contenuti di questa conversazione vengono analizzati da strumenti automatici che associano quelle informazioni al suo profilo. Sono in grado in pratica di ricostruire il profilo di una persona che parla di nuove tecnologie e magari si interessa di nautica. Che è esattamente lo stesso modello di business di Fb.
Cioè?
Fb e WhatsApp offrono ai loro utenti una piattaforma su cui interagire per conoscerli: ci sarà sempre qualcuno che avrà da vendere qualcosa a questi signori. Così Fb e WhatsApp vendono quei dati che danno accesso alla conoscenza che si genera dalle transazioni che avvengono nei loro ambienti. WhatsApp poi ha una base di utenti più ampia di quella di Fb, perché gli utenti dei cellulari sono più di quelli collegati a internet. E c’è anche un’altra cosa
Cosa?
Fb è fatto per gestire i propri contatti da 2-300 utenti, è vero che si possono fare anche gruppi privati, quella è una funzione secondaria. Invece viene più naturale utilizzare WhatsApp per fare un piccolo gruppo, quindi degli ambienti più intimi dove ci si scambia informazioni molto soggettive: ad esempio su come coordinare una vacanza con un gruppo di amici; o magari si fa un gruppo con i propri familiari. In questo modo si colgono due aspetti complementari dell’identità dell’utente. Che messi assieme rendono ancora più potente Fb.
Cambierà qualcosa dopo questo accordo ?
Certamente cambierà il fatturato di Fb! Fino a che gli utenti continueranno a usare questi servizi, senza pensare al valore di quello che rilasciano a queste piattaforme rispetto all’utilità che ricevono in cambio, le funzionalità cambieranno poco. Ci saranno pochi soggetti, come Google e Fb, che continueranno a fare il business sulla capacità di raccogliere e analizzare questa grande quantità di dati. Se gli utenti decideranno un giorno che tutto questo è sproporzionato rispetto alla distribuzione del valore, allora potrebbe cambiare qualcosa. Mai sentito parlare di Cooperative Commons ?
No, di cosa si tratta?
Si tratta di un’iniziativa che nasce da un gruppo di docenti della Luiss che hanno formulato un’ipotesi alternativa a questo sbilanciamento della distribuzione del valore. Il Manifesto è consultabile sul web
Cosa proponete?
Ad esempio, che per iscriversi a un social network si possa scegliere fra modalità diverse di partecipazione; che sia possibile una modalità cooperativa che preveda forme di autogestione dei propri dati e percentuali di compartecipazione del valore generato. E, in secondo luogo, la creazione della prima cooperativa di comunità on line e la produzione di un applicativo web che renda evidente e implementabile per chi vuole, una partecipazione cooperativa alla vita digitale.