«Tassare i titoli di Stato italiani al 20% come vuole Renzi farà schizzare lo spread alle stelle». È la denuncia di Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli Intermediari finanziari alla Cattolica di Milano. Tra le tre riforme cardine annunciate da Matteo Renzi c’è anche quella del Fisco, la cui idea chiave sarebbe un incremento dell’imposizione sulle rendite finanziarie. Attualmente l’aliquota per quanto riguarda le azioni, le obbligazioni e i fondi comuni d’investimento è al 20%, mentre quella sui titoli di Stato è al 12,5%. Gli economisti del premier starebbero però pensando a un inasprimento di entrambe.



Professor Borghi Aquilini, fino a che punto quella proposta da Renzi è un’idea innovativa?

Non si tratta di un’idea innovativa, in quanto l’aumento delle tasse sulle rendite finanziarie è già stata voluta da Tremonti con la manovra del 2011. L’imposta sulle rendite finanziare era al 12,5% (salvo che sugli interessi bancari, dove ammontava al 27%) ed è stata portata al 20%. Si è scelto inoltre di introdurre il bollo, portando la tassazione totale a livelli estremamente elevati. In parte l’aumento dello spread è stato innescato proprio da questa nuova tassa voluta da Tremonti.



In che senso tassare le rendite può fare aumentare lo spread?

Non appena i risparmiatori si sono visti colpire dalla nuova imposta di bollo, che nella sua formulazione iniziale doveva essere progressiva, hanno subito iniziato a vendere i titoli italiani per mettere i soldi sotto il materasso. Da lì sono iniziate le prime vendite di Btp, che poi si sono alimentate con quelle della Deutsche Bank.

Insomma, lo spread è iniziato a salire per un errore di politica fiscale?

Nel momento stesso in cui il governo italiano ha “criminalizzato” i risparmi, quanti avevano investito i loro averi in titoli di Stato hanno subito venduto senza neanche attendere la formulazione definitiva della manovra. In un primo momento si era pensato di aumentare l’imposta al 20% per tutti, in un secondo momento si è deciso di lasciarla al 12,5% solo per i titoli di Stato italiani, ma nel frattempo, per usare una metafora, i buoi erano già scappati dalla stalla. L’imposta di bollo inoltre ha riguardato l’intero stock di risparmio, colpendo quindi gli stessi Btp.



Il risparmio è un bene che andrebbe tutelato da qualsiasi inasprimento fiscale?

Sì. Il fatto di tassare il risparmio, o di introdurre delle altre forme di patrimoniale, produce sempre degli shock sui contribuenti. Chiunque possiede una casa o dei risparmi non ha più quella tranquillità che aveva prima, e che un tempo consentiva all’economia italiana di assorbire bene qualsiasi rovescio. Nel momento stesso in cui si aggrediscono i risparmiatori, si producono dei comportamenti irrazionali o controproducenti.

 

Questi effetti controproducenti rischiano di ripetersi?

Adesso si sta parlando nuovamente di alzare la tassazione sui titoli di Stato italiani portandola al 20%. L’effetto sarà quello di alzare nuovamente lo spread, in quanto i risparmiatori del nostro Paese hanno ovviamente molti più titoli di Stato italiani che tedeschi.

 

I difensori della nuova tassa affermano che in questo modo si equipara l’imposizione fiscale italiana a quella degli altri Paesi Ue. Lei che cosa ne pensa?

Affermare che le tasse sulle rendite nel nostro Paese sarebbero più basse che altrove è soltanto una mistificazione. Nei Paesi Bassi, per esempio, sono dello 0%, e quasi tutti gli altri Stati hanno dei sistemi per cui quanto più a lungo un risparmiatore rimane in possesso di un titolo, tanto più si abbassa il prelievo fiscale.

 

(Pietro Vernizzi)