Domenica 26 gennaio la polizia di Londra scopre il cadavere di William Broeksmit, 58 anni, ex senior executive di Deutsche Bank, nella sua casa. La vicenda viene classificata come omicidio. Il giorno dopo, il managing director di Tata Motors, Karl Slym, 51 anni, muore dopo essere caduto dalla finestra della sua stanza di albergo a Bangkok. Prima del decesso, ritenuto dalla polizia molto probabilmente un suicidio, aveva preso parte a una riunione dell’unità thailandese di Tata. Slym condivideva la stanza al 22mo piano dello Shangri-La Hotel con la moglie: i camerieri ne rinvennero il corpo su un balcone del quarto piano. Il giorno dopo ancora, martedì 28 gennaio, Gabriel Magee, 39 anni, vice-presidente del dipartimento tecnologico di JP Morgan, cade dal tetto del quartier generale della banca a Londra e muore. Altre 24 ore, il 29 gennaio ed è il turno di Mike Dueker, 50enne capo economista della Russell Investments, il quale si sarebbe tolto la vita lanciandosi da una rampa del Tacoma Narrow Bridge a Tacoma, nello Stato di Washington. Stando a Bloomberg, si erano perse le sue tracce dal 29 gennaio e polizia e parenti lo stavano cercando. La settimana prima, poi, anche il capo delle comunicazioni di Swiss Re AG con base nel Regno Unito era morto, ma le cause del decesso non sono mai state rese note. Lunedì 3 febbraio, il 37enne executive director di JP Morgan Chase, Ryan Crane, muore per cause sconosciute nella sua casa di Stamford, Connecticut. Lavorava per la banca da 14 anni nella sede di New York ed era diventato direttore esecutivo di un’unità che trattava blocchi di titoli per clienti. Martedì scorso, poi, l’ultimo. Di lui si conosce il soprannome con cui lo chiamavano tutti: Li e che aveva 33 anni. Li è divenuto soltanto un triste numero statistico, il numero sei.
È infatti il sesto banchiere d’affari a essere morto in circostanze strane da inizio anno: quattro giorni fa è salito sul tetto della sede centrale di JP Morgan a Hong Kong, Charter House e si è lanciato nel vuoto. Era un trader che operava sul mercato valutario, il forex, e quasi tutti i dipendenti intervistati dai giornalisti dopo l’accaduto hanno confermato che era un investment-banker di livello junior che forniva un ruolo di supporto a vari progetti. Una cosa è certa: la sua morte ha fatto cancellare immediatamente un meeting fissato nella sede di Hong Kong di JP Morgan, tanto che un dipendente di una banca inglese operante nella città orientale ha confermato come il suo team avesse in programma una riunione per le 3 del pomeriggio, cancellata poi improvvisamente e senza motivo. Per favore, non vendetemi l’idea che gli altri partecipanti fossero sconvolti dall’accaduto: a quei livelli, ci si commuove solo per i bonus. Anche perché se no, bastava dare come motivazione il suicidio, invece che non motivare la cancellazione.
Perché vi racconto questa storia? Perché per quanto la vita sia piena di coincidenze, queste sono troppe. Certo, c’è la possibilità che tutte le vittime avessero problemi familiari o di salute. O forse anche di lavoro, ma nulla che riconducesse a una pressione: semplicemente, l’incapacità di andare avanti con certi ritmi, con un certo stile di vita in tempi poi così stressanti per chi opera sui mercati. O, forse, per il timore di restare schiacciati da qualcosa di più grande di sé. Magari lo scandalo della manipolazione dei mercati valutari mondiali, un giochino da 5mila miliardi di dollari, che dal novembre scorso ha già visto molte banche sospendere trader (pur pagandoli) e accantonare fondi per pagare le sanzioni, dopo quelle già versate per lo scandalo delle manipolazioni del tasso Libor, 3,5 miliardi di dollari pagati da cinque banche.
Le indagini sulla presunta manipolazione dei cambi valutari iniziarono ad aprile dello scorso anno, quando l’inglese Financial Conduct Authority gettò luce sulla piazza londinese, l’hub più grande al mondo per il foreign-exchange, da dove passa il 41% delle attività globali: all’autorità inglese si sono affiancate, tra le altre, quelle di Stati Uniti, Svizzera e Hong Kong. Le indagini si focalizzano sugli stretti legami tra i trader appartenenti a varie banche e per questo sono stati passati al setaccio i messaggi delle cosiddette chatroom che sono chiamate tra gli addetti ai lavori “the club”, “the bandits club” (il club dei banditi), “the dream team” (il team dei sogni) e “the cartel” (il cartello).
Siamo forse a un punto di svolta delle indagini e per questo gente come Li, che operava nel forex, ha preferito un volo dal tetto di un palazzo che dover affrontare la realtà? Semplicistico. Ricorderete tutti la storia di Moritz Erhardt, il 21enne tedesco trovato morto nella sua stanza a Londra lo scorso agosto dopo aver lavorato per 21 ore di fila per tre giorni consecutivi, dalle nove alle sei di mattina, bevendo caffè a ripetizione per stare sveglio. Anche all’epoca si puntò il dito contro la finanza spietata, i suoi ritmi e il suo cinismo: poi si scoprì che il ragazzo era a sette giorni dalla fine del suo stage a Bank of America (non rinnovato), era epilettico e soffriva di una sindrome da performance che lo avrebbe portato a eccedere anche in altri campi, non soltanto in quello spietato della finanza nella City.
Dunque? Io ho una mia idea di cosa possa magari non spiegare – l’animo umano rimane insondabile a tutto, figuriamoci alla finanza – ma dare un filo conduttore a quelle morti e all’inquietante silenzio che le ha accompagnate, non solo sui media ma soprattutto nella comunità finanziaria. E la mia idea coincide con un concetto che ormai dovrebbe esservi familiare, il margin debt. Spieghiamo, velocemente, un’altra volta cosa sia. Si tratta della somma della quantità di denaro che le istituzioni finanziarie hanno prestato per acquistare titoli azionari sul Nyse, la Borsa di New York, avendo come garanzia i titoli azionari stessi. Siccome il margin debt è un indicatore molto importante del cosiddetto “moral hazard” e dell’esposizione del mercato alla leva, a metà di ogni mese la Borsa di New York pubblica i dati relativi al totale costituito sulle azioni quotate al Nyse, ovvero quanto denaro è stato dato in prestito da tutte le istituzioni finanziarie per acquistare titoli alla Borsa newyorchese, avendo messo come garanzia altri titoli azionari.
Dato complementare che viene reso noto è quello del grado di capitale libero da margini – total net free credit – in miliardi di dollari, ovvero il denaro non soggetto a prestito da parte di istituzioni finanziarie e che viene utilizzato per operare al Nyse. Bene, l’ultimo dato disponibile è quello di dicembre 2013 e, nemmeno a dirlo, il margin debt è salito di altri 21 miliardi di dollari, raggiungendo il nuovo record di tutti i tempi di 445 miliardi di dollari, su del 29% sull’anno e casualmente un dato identico all’aumento percentuale dell’indice S&P’s. Ma a sorprendere davvero, come ci dimostra il primo grafico, è il fatto che il total net free credit sia sceso a uno sbalordente livello di 148 miliardi di dollari, un livello doppio di quello del febbraio 2013 e doppio anche di quando si raggiunse il picco della scorsa bolla, quella immobiliare, che toccò il massimo storico di 79 miliardi di dollari nel giugno 2007. Da allora, sapete tutti come è andata a finire.
Ora, guardate quest’altro grafico: ci dimostra plasticamente il modello di business del fondo speculativo Bam, ponendo in relazione gli asset under management (Aum) all’allocation, ovvero la dimostrazione plastica dell’esposizione alla leva. Siamo a una ratio di 5x: se dovesse esserci una correzione del 20% sul mercato, con quel leverage, cosa succederebbe secondo voi? Il problema, poi, ora è generale: perché anche le banche sono esposte come gli hedge fund. Banche enormi, le cosiddette “too big to fail”, in Usa come in Europa e in Asia. Cosa succederebbe se il mercato correggesse davvero e non si avesse il tempo di inventarsi qualcosa, stile emergenza post-Lehman?
Certo, questo non spiegherà mai il mistero che sta dietro la morte di una persona, ma mi offre l’occasione di ribadirvi cosa vi ho detto ieri: siamo al livello del 2008. Ma con molte meno armi di difesa.