Mi ha fatto una certa impressione leggere che all’ultima riunione di Sidney del G-20 il ministro dell’Economia del governo conservatore di Tony Abbott, l’ultraliberista Johnny Hockney, ha lanciato il grido d’allarme che suonava a mo’ di monito nei confronti della Federal Reserve americana in merito ai rischi che potrebbero correre le economie dei paesi emergenti se il programma di Quantitive easing giungesse al termine. Il nuovo governatore della Fed, la prof. Yellen, si è subito affrettata a smentire qualsiasi ipotesi di frenata troppo brusca. Dall’Australia, insomma, emerge chiaramente che le istituzioni dell’economia mondiale hanno intrapreso un nuovo corso. Le politiche di austerità fondate sul timore dell’inflazione devono lasciare il passo a un complesso di politiche economiche volte a scongiurare la deflazione.
Di questo nuovo corso abbiamo innumerevoli segni a livello internazionale. E non mi riferisco solo alla nuova politica che ho già più volte citato della Banca centrale giapponese e di quella del Regno Unito, ma soprattutto ai segnali che vengono dal mondo delle classi politiche internazionali, specie dalla famiglia politica che nel decennio Novanta del Novecento si era messa alla testa del processo di liberalizzazione, di privatizzazione, di finanziarizzazione dell’economia mondiale. Mi riferisco naturalmente all’internazionale socialista e al suo più importante compagno di viaggio, ossia il Partito democratico nordamericano guidato dall’ineffabile Clinton.
Mi ha fatto un certo effetto leggere su uno dei più importanti giornali di Murdoch, il Sunday Times, che il consiglio più prezioso da dare a Ed Miliband e al suo nuovo partito laburista (nuovo rispetto a quello di Blair ultrafinanziarizzato e ultraliberista) è “Hug the banker”, ossia abbracciare un banchiere, cioè tornare alla vecchia politica ultraliberista e ultrasregolatrice. Da questo punto di vista le recenti dichiarazioni del candidato del Pse alla Presidenza del Consiglio europeo, il tedesco Martin Schulz, mi sono anch’esse sembrate molto rivelatrici quando sottolinea la necessità non più di puntare sull’austerità ma sulla crescita e di farlo rapidamente e senza indugi pena la decadenza europea.
Il nuovo corso sta avendo i suoi effetti. E da questo punto di vista va segnalato il fatto che il neo primo ministro italiano, Matteo Renzi, ha con chiarezza dichiarato che la collocazione intereuropea del suo Pd sarà quella del Partito socialista europeo. Dichiarazione notevole e liberatoria se si pensa che a farla è un cattolico convinto come Renzi.
Naturalmente nuovo corso non vuol dire che si è attraversato il guado. Si è ancora in mezzo al guado. Basti pensare alla posizione francese e del socialismo d’Oltralpe. Hollande, ad esempio, non sa più che pesci prendere. Da un lato preme sulla Merkel perché intervenga militarmente in Centro Africa al fianco dell’ Armée, ma sottovaluta gravemente il fatto che i socialdemocratici tedeschi si sono dichiarati contrari a qualsiasi forma di intervento militare in Africa e in un governo di grande coalizione come quello tedesco questo ha un suo peso. Dall’altro lato, Hollande si è recato recentemente a Washington e lì ha pronunciato dichiarazioni entusiaste sull’accordo transatlantico a cui gli Usa tengono moltissimo. Altro che guado!
A ciò si aggiunga che il ministro dell’industria francese Arnaud Montebourg annuncia un giorno sì e un giorno no la rinascita dell’intervento pubblico in economia non solo per difendere gli stabilimenti che per esempio la Peugeot vorrebbe chiudere, ma anche per creare nuove imprese statali, come quella in campo minerario che avrebbe il compito di ricercare in tutto il mondo le famose terre rare indispensabili all’industria francese per rafforzarsi nel business dell’ITC e del web in generale.
Un quadro mosso non solo a livello mondiale, con le tendenze neoprotezionistiche dei Brics, ma anche in Europa, dove i popolari tedeschi e in generale i partiti conservatori appaiono in difensiva. Va sottolineato, tuttavia, che una delle prime misure del governo di grande coalizione tedesco è stato l’aumento del salario minimo del lavoro dipendente. Una misura che farebbe gridare al pericolo bolscevico se fosse applicata nei paesi che gemono sotto il tallone deflazionistico teutonico. Una misura che già Obama aveva inaugurato seguendo la sua politica timidamente neokeynesiana.
La domanda a questo punto nasce spontanea: uscirà l’Europa dal guado e con essa l’Italia? In questa luce le prossime elezioni europee cominciano ad acquistare un significato non banale.