Con il Motu Proprio il Papa ha istituito un Consiglio per gli aspetti economici della Chiesa, in pratica una sorta di ente di supervisione. Di cui però mancano ancora gli statuti, ovvero l’aspetto attuativo, che il Santo Padre dovrà approvare.

Domandiamoci: quali sono innanzitutto gli obiettivi? Gestire i beni della Chiesa per la sua missione di evangelizzazione in relazione al bene comune e ai bisognosi. Ma l’obiettivo di questa istituzione non è soltanto gestire bene. Il Papa ha chiaramente definito che si tratta di gestire consapevolmente i beni, alla luce però della missione di evangelizzazione della Chiesa, con speciale attenzione ai bisognosi. Quindi in relazione al bene comune.



I beni della Chiesa – dice il Papa – non servono solo all’evangelizzazione, ma servono anche al sostegno dei bisognosi. Questo è molto interessante, perché il Papa poteva limitarsi al sostegno dell’evangelizzazione, invece specifica con particolare premura che quei beni devono servire i bisognosi e sono da usarsi in relazione al bene comune. Poteva considerarlo implicito, invece lo ha esplicitato.



Il Motu Proprio istituisce un organismo di 15 membri, 8 porporati e 7 personalità esperte di varie nazionalità e competenze, che risponde al Santo Padre. Una delega, in pratica. Con essa il Santo Padre avoca a sé la supervisione di quello che farà questo Consiglio.

Cosa farà questo organismo? Primo, deve anzitutto attuare un controllo economico e di vigilanza. Secondo, deve vigilare sulle procedure e le politiche relative agli acquisti. Attenzione, agli acquisti – qui evidentemente si rifà al Governatorato e alla famosa vicenda di Viganò – e all’allocazione delle risorse umane nel rispetto delle competenze. In poche parole: non dice che deve stabilire una strategia per fronteggiare i problemi economici.



Questo punto è molto importante. Ci si poteva aspettare un “ministero dell’economia” che stabilisse innanzitutto come reperire le risorse e come distribuirle per far fronte a tutti i problemi che in questo momento anche il mondo cattolico sta attraversando, con le nuove povertà, ecc. Per adesso non si tratta quindi di un vero e proprio ministero dell’economia, anzi non lo è affatto. È un organo di controllo e di supervisione. Cioè non prende le decisioni di carattere strategico e operativo; le supervisiona.

Questo vuol dire che c’è qualcun altro che deve prendere queste decisioni. Ma nel documento non si dice chi. Ora, il Motu Proprio non lascia immaginare che si devono affrontare quei problemi economici che tutta la Santa Sede deve affrontare. Fino a ieri chi dava i contributi alla Chiesa? Li dava il mondo occidentale, ex mondo ricco. E dove andavano quei valori raccolti? Oltre al mantenimento delle strutture della Chiesa, venivano trasferiti ai bisognosi. Dal mondo occidentale venivano cioè travasati nel mondo povero. Oggi però il mondo occidentale è diventato povero e paradossalmente è diventato un po’ più ricco quel mondo che un tempo era povero.

Questo è il primo paradosso che dobbiamo affrontare: ci sarà un calo delle entrate e un aumento delle uscite. Non solo, finiranno anche i benefici fiscali. In tutto il mondo le istituzioni religiose perderanno i privilegi fiscali di cui hanno beneficiato finora. E finirà anche la remunerazione delle rendite mobiliari e immobiliari di cui fino a ieri la Chiesa beneficiava e che oggi si stanno considerevolmente ridimensionando.

Oggi un investimento senza rischio rende zero, un investimento a rischio è molto volatile, basta vedere cosa succede in borsa. Anche la gestione di un immobile oggi rende meno, primo perché c’è meno domanda di immobili in affitto, secondo perché ci sono molte più tasse.

Qui si pone un problema per la Chiesa: come si sopperisce a una situazione del genere? Come si fa ad aumentare le risorse in modo tale che il processo di evangelizzazione vada avanti? (basti pensare agli sforzi che bisogna fare verso l’Asia, la Cina, l’India, l’Africa, l’America latina…) Vengono richieste più risorse quando ce ne sono meno disponibili. E con molti più vincoli.

Un ministero dell’economia dovrebbe essere orientato a tre cose. Primo, valorizzare tutte le attività economiche, svilupparne di nuove, aumentare attraverso le congregazioni e gli enti le entrate con nuove idee, nuovi modelli di attuazione. Basti pensare per analogia a quello che fa un ministero dell’economia di un Paese come l’Italia. Di cosa si occupa? Del reperimento delle risorse, della gestione e del loro reinvestimento. E da cosa è costituito un ministero dell’economia? Da un ministero delle finanze che impone la tassazione e riscuote, dal ministero dell’economia che alloca queste risorse e da un ministero del bilancio che le amministra. Ma, ripetiamo, il Papa non ha fatto questo.

Aspettiamo gli statuti: innanzitutto devono essere preparati i modelli di attuazione di questi obiettivi. La Caritas in veritate si conclude con un’esemplare espressione di papa Benedetto XVI: quando le cose vanno male, dice il Papa, non sono gli strumenti che vanno cambiati, ma gli uomini che li gestiscono. Allo stesso modo si può dire che quell’organismo potrà funzionare a seconda di chi se ne occuperà.

Prendiamo la Commissione dei sette saggi esperti a livello internazionale: chi li sceglie? Questo è molto importante. Il problema infatti è chi farà le cose e con che spirito le farà. L’impressione è che questo Papa avochi a sé moltissime decisioni: la strategia la farà lui. Nominerà un team di poche persone che alla fine faranno le cose. 

Ovviamente, dal punto di vista pratico, questo non è negativo. Basta vedere come sta cambiando la Chiesa. Questo Papa sta attuando in modo straordinario un processo che cambia il mondo: la dottrina oggi viene da paesi che prima ne beneficiavano e adesso la esportano; prima la importavano, adesso la esportano a quei paesi che prima erano esportatori. L’Europa da fornitore è diventata beneficiario. L’Europa nichilista, relativista e sempre più povera.

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