Diminuisce la ricchezza complessiva? Sì, ma non oggi e non con la crisi; da prima, molto prima: ieri. Per questo la crisi si mostra, oggi, impantanata tra inflazione e deflazione. Già, quei discoli di “inf/def” che, per il mercato efficiente, sono efficienti dispositivi per tenere in equilibrio tra domanda e offerta e per i policy maker sono “accidenti” da porre sotto controllo per inibirne l’azione. Oh, lo hanno fatto, lo fanno gli inibitori. A colpi di politiche di reflazione esercitate mediante altre politiche, quelle monetarie buone per abbassare il costo del denaro, farlo acquistare a debito e farlo fluire in ogni dove per finanziare gli acquisti e dare così sostegno alla domanda. Giust’appunto il modo per non far scendere il prezzo delle merci.
Bene, anzi male, così viene alterato il meccanismo di formazione di quei prezzi al punto che la ricchezza, generata da quella spesa, risulta gonfiata dal debito. Ricchezza dopata appunto che quando troppo in alto sal, cade sovente precipitevolissimevolmente. E quando viene a mancare la trippa ai gatti e occorre rimettere il debito andato oltre ogni ragionevole fare, si fa spending review.
Sì perché quando i redditi [] da soli sono incapaci di fare tutta la spesa che serve, accade quello che non t’aspetti. Si registra una storica inversione di tendenza e con quasi tre italiani su quattro (73%) che hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013 anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola. Questo emerge dall’indagine Coldiretti/Ixe’ divulgata in occasione della giornata di prevenzione dello spreco alimentare in Italia.
Pure quando il debito pubblico va oltre, oltre tutto, s’ha da ridurre. Già, pure qui spending review. Come credete si possa chiamare la riduzione dalla spesa in conto capitale delle imprese? E quella inesistente per rimpinguare le scorte?
Cacchio, senza usare trucchi e inganni tutti gli agenti economici si trovano costretti a ridurre la spesa. La crisi, prima inibita, spudoratamente si esibisce. Già, e allora che si fa?
[1] Negli Usa, al netto del tasso di inflazione, il 40% di chi lavora guadagna meno di quello che era il salario minimo nel ‘68. In Gb il 20% di salari e stipendi sta sotto il reddito minimo garantito. E i 7 milioni di mini job erogati in Germania da 450 euro/mese? Il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa: l’Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, nel 2013, il reddito disponibile è pari a 1.032 miliardi di euro, rispetto ai 1.033 del 1988.
Beh, si rifanno i conti: con la crisi il Pil si è ridotto attorno ai 1500 miliardi di euro l’anno. Questi, maledetti e subito, ci sono. Sono reddito! Noi, per non giocare ancora con i dati truccati, sottraiamo pure la quota generata con l’ausilio del debito e resta ancora un bel gruzzolo. Questo gruzzolo ficcato dentro un algoritmo bell’e pronto farà il resto.
Eccolo: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito residue per remunerare chi, con la spesa, remunera”. Et voilà: fare la crescita torna possibile, pure senza debito!