Gli obiettivi massimi della prima “operazione Renzi”, all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri di domani, sono ormai delineati. Nelle intenzioni del premier, alle famiglie andrà uno sgravio fiscale Irpef che prevedibilmente assorbirà per intero i 10 miliardi (massimi) di manovra finanziaria stretta. Il “pacchetto imprese” dovrebbe comprendere flessibilità “d’ingresso” e “d’uscita” sul mercato del lavoro oltre a un intervento di accelerazione dei pagamenti dei debiti Pa per decine di miliardi di euro attraverso la Cassa depositi e prestiti. Ulteriori decisioni dovrebbero riguardare l’edilizia scolastica e quella sociale, con investimenti infrastrutturali pubblici (molla classica di ripresa-sviluppo) non privi di una forte valenza politico-sociale.



Se una parte almeno consistente di questo “cantiere” verrà chiuso domani a Palazzi Chigi, sarà certamente perché fra ieri e oggi il ministro dell’Economia, Piercarlo Padoan, avrà lavorato duro e bene a Bruxelles: battendo pugni sul tavolo e sporcandosi le mani, litigando e promettendo a seconda degli appuntamenti e degli interlocutori. Se questo accadrà, bisognerà darne atto “a prescindere” a un premier di 39 anni, in carica da due settimane, privo di ogni esperienza di “big government”, senza solida maggioranza parlamentare, leader di un partito diviso e riluttante, sotto il fuoco incrociato sia della Confindustria e che della Cgil, nello scetticismo dei grandi media.



Questo spillo non è un endorsement a un politico di cui le qualità potenziali sono discusse e discutibili ma sono note, anche se non saranno certo verificate da un solo Consiglio dei ministri operativo. Lo spillo è invece per coloro che stanno manifestando una clamorosa incapacità di mettersi in efficace rapporto politico con lui, a cominciare dai metodi e dagli stili di opposizione. Accusare Renzi – segretario del Pd eletto attraverso le primarie – di fare “elemosine elettoriali” significa anzitutto rafforzarlo presso il suo elettorato e forse anche oltre.

Significa dare alle “poche decine di euro” (oggettivamente poche) che Renzi potrà – forse – mettere nelle tasche delle famiglie italiane meno abbienti (oggettivamente moltissime) tutto il significato politico (oggettivamente enorme) che Renzi desidera: dopo anni di austerity imposta da tecnocrati, un governo “politico”  abbassa le tasse e lo fa di testa sua, perfino contro le lobby che dicono di difendere vasti blocchi sociali (compreso il Movimento Cinque Stelle).



E le imprese? Il governo proverà a restituire loro due flessibilità: sul fronte della liquidità (mentre le banche – sotto pressione europea – difficilmente potranno riaprire i ribinetti del credito) e su quello del “costo” e del “posto” del lavoro: e qui davvero attendiamo Renzi e i ministri Poletti e Guidi al varco del “superamento della riforma Fornero” (come rottamare – bene – i padri per far spazio ai figli, ridando efficienza competitiva all’intero sistema produttivo). 

Sarà interessante osservare se Renzi saprà dimostrarsi spregiudicatamente liberista – cioè politicamente laico – su questo fronte esattamente come fino a quest’ora sta tenendo duro sui “soldi alle famiglie in difficoltà”. Vedremo, ad esempio, se  sulla “riforma della riforma del lavoro” raccoglierà i suggerimenti di un parlamentare dell’opposizione di centrodestra come Mariastella Gelmini, pubblicati oggi sul quotidiano confindustriale, peraltro critico nei confronti dell’“operazione Renzi” in arrivo. Nel caso, saranno le imprese a non avere più alibi: in fondo è compito loro assumere (magari reinvestendo i capitali che potranno rientrare dall’estero a condizioni più favorevoli di quelle previste dall’originaria “voluntary disclosure”). Il governo toglie lacci e lacciuoli al mercati, ma non può dare doti monetarie per i nuovi posti di lavoro (certo deve anche cominciare a sfoltire per davvero l’impiego pubblico e i costi della politica, nota finale dello spillista).