Il cuneo fiscale s’ha da tagliare, dicono in coro quelli che sanno. Per uscire da questa maledetta crisi occorre restituire capacità competitiva alle imprese e capacità di spesa a chi lavora. Già, le risorse a disposizione però sono quel che sono, non c’è la trippa per tutti i gatti! Tagliare Irap o Irpef, questo il problema.



Il Premier taglia la testa al toro e: «Mi ci gioco la faccia, mercoledì taglio le tasse di dieci miliardi e andranno tutti alle famiglie. Stiamo lavorando a un piano articolato che prevede più cose, ma sono soldi che entreranno nelle busta paga degli italiani». Giusto? Giusto, perché se la crescita si fa con la spesa, meno con la produzione, quella delle famiglie ne fa il 60%. Ah, beh, allora se sgravio ha da essere che sgravio Irpef sia, altro che Irap!



Sgravati non a tutti però, solo a quelli che hanno meno perché sono quelli che spendono di più. Perché la manovra funzioni, spiegano i tecnici del settore, il taglio deve essere «senza precedenti», ma soprattutto deve garantire che, chi troverà il bonus sulla paga, lo spenda e non lo lasci nel cassetto. La questione è ben chiara al governo che intende concentrare gli sgravi sotto i 25 mila euro lordi di stipendio annui (circa 1.300 euro netti al mese). In questo caso il ragionamento che si sbircia nei documenti non ufficiali dice che la propensione a spendere cresce con i redditi più bassi. Giusto allora concentrare la misura sui più poveri. 



Le simulazioni dicono che, se il bonus si concentrerà sui redditi fino a 15mila euro, si potrebbe arrivare a 100 euro al mese per famiglia. Oltre le simulazioni però ci stanno i fatti. E che fatti, questi: il reddito disponibile delle famiglie italiane nel 2013 torna ai livelli di 25 anni fa. L’Ufficio Studi di Confcommercio evidenzia che, proprio lo scorso anno, il reddito disponibile risulta pari a 1.032 miliardi di euro rispetto ai 1.033 del 1988. Nel solo 2012, a fronte di una flessione del Prodotto interno lordo del 2,4%, il potere d’acquisto delle famiglie è diminuito del 4,7%.

Poi ancora altri fatti: le merci e i servizi, per numero e volume, che sono arrivate sul mercato dall’88 a oggi. Alla rinfusa: Pc, notebook, i-pod, i-pad; telefonini che poi si fanno smart; televisioni che si fanno piatte poi a cristalli liquidi, lcd poi ancora a led; la “moda pronta” poi quella prontissima; ancora, a pagamento, la sosta come la pipì, l’acqua in bottiglia che sostituisce fontanelle asciutte; non mancano neppure i ticket sanitari, bollette e abbonamenti di tutte le risme in tutte le salse e chissà quant’altro ancora.

Incrociati i dati e shakerati ben bene: chi può, con ragione, supporre che quel gruzzolo che si intravvede e dato a famiglie mal messe possa essere in grado di compensare quegli 88ini smilzi redditi, al fin di acquistare tutto quel bendidio che ingolfa il mercato per andare oltre la crisi?

Premier, la prego, non ci provi: le scaltrezze hanno le gambe corte. Si, perché se è vero che il taglio Irpef male non fa, non ce la fa però a rivitalizzare quei bassi redditi che fanno la spesa. Figuriamoci quei redditi che ne sono esclusi. Premier, la prego ci provi: occorre farsi eretici perché, dopo aver tagliato, occorre disattivare pure tutte le politiche reflattive agenti; chieda al Ministro Padoan, lui sa di cosa parlo. Proprio quelle che hanno alterato il meccanismo di formazione dei prezzi, rendendo ancor più insufficienti i redditi per fare tutta la spesa che serve per fare la crescita.

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