I cambi di potere, in qualsiasi modo avvengano, offrono sempre degli spunti interessanti. Infatti, inevitabilmente accade che chi perde il potere si lasci andare a dichiarazioni poco diplomatiche, finendo col dire più di quanto dovrebbe e rivelando aspetti significativi del periodo vissuto al comando. La recente intervista a Saccomanni, ministro dell’Economia con il governo Letta ed ex Governatore della Banca d’Italia, è un esempio classico di questo tipo e offre diversi spunti di riflessione. Ovviamente l’ex Governatore non ha gradito di essere stato messo da parte, di non aver potuto finire il lavoro iniziato. Anzi, su questo punto, proprio alla fine dell’intervista dice una cosa interessante. Ma andiamo con ordine.
La prima domanda riguarda le recenti dichiarazioni di Renzi, secondo il quale “sapeva che i numeri non erano quelli raccontati” dal governo Letta. Saccomanni protesta asserendo che quegli stessi numeri li aveva raccontati in Europa, ottenendo a novembre la conclusione che non occorreva una manovra correttiva. E insiste: “Il fatto è che loro hanno interpretato come stime i nostri obiettivi: due cose che sono evidentemente molto diverse”. In altre parole, Saccomanni sta stimando come incompetenti pasticcioni i componenti della Commissione e Olli Rehn, commissario per gli Affari economici e monetari.
L’intervistatore poi segnala come le preoccupazioni siano incentrate sul debito pubblico italiano, affermando che in Europa sono convinti che la correzione dei conti prevista per quest’anno non basterà a intaccarne le enormi dimensioni. Saccomanni risponde candidamente: “Ma dovrebbero sapere che il Prodotto interno lordo è sceso non a causa di chissà quali politiche folli, ma per colpa della crisi. E che il debito è aumentato anche perché abbiamo dovuto pagare i conti lasciati con i fornitori dai governi precedenti, che si erano ben guardati dall’onorarli”.
Quindi, secondo Saccomanni, il Pil è sceso per una fantomatica crisi, calata chissà da dove, e non a causa delle politiche di austerità praticate dai governi precedenti come dal suo. Inoltre, il debito è aumentato per colpa dei conti lasciati dai governi precedenti. In altre parole, sta scaricando la colpa dei risultati scadenti sui governi precedenti. A parte la facile considerazione che abbiamo già assistito come cittadini a questo tipo di scene numerose volte, in questi anni, c’è pure da notare che ora il povero Saccomanni si trova dalla parte lesa, cioè dalla parte di chi viene indicato come corresponsabile della situazione da chi ora ha preso il suo posto. Una volta si chiamava “teatrino della politica”: sono cambiati i personaggi, ma le parti sono rimaste immutate.
Ma ora arriva il passaggio importante: “Olli Rehn conosce perfettamente la situazione di oggi, perché gli è stata illustrata nei dettagli. A metà febbraio gli ho mostrato tutto, compresi i conti della spending review che prevedono tagli di spesa crescenti fino al 2% del Pil nel 2016”. Quindi tagli fino al 2% del Pil. Ma se avverranno tagli pari al 2% del Pil, allora il Pil avrà un calo del 2% o superiore. Perché superiore? Perché lo Stato è solo uno degli attori dell’economia, anche se il più grosso, poiché la spesa pubblica è circa il 50% del Pil. Ora, se lo Stato non spende per una cifra pari al 2% del Pil (di oggi), anche le imprese che non incasseranno tali soldi spenderanno di meno, avendo meno soldi da spendere. Questo è precisamente l’effetto moltiplicatore di quella austerità che fin dall’inizio gli uomini al potere ci hanno spacciato come panacea di tutti i mali finanziari, ben sapendo che in realtà così faceva comodo a chiari interessi finanziari.
Se infatti la moneta diventa scarsa, allora essa diventa strutturalmente più preziosa dei beni reali. Così la finanza rimane sempre favorita rispetto a qualsiasi attività economica reale. Infatti, vediamo che le borse salgono senza sosta, mentre l’economia reale continua a soffrire e la disoccupazione ad aumentare. E così continua Saccomanni, parlando delle regole dell’Ue: “Non esiste una possibilità su un milione che vengano cambiate. Per ottenere questo risultato è necessaria l’unanimità, che non ci sarà mai”. Certo, abbiamo troppi politici e troppa politica dipendente dalla finanza.
Infine, boccia l’idea di Romano Prodi di un’alleanza tra paesi del sud per imporre una correzione di rotta alla Germania, poiché una tale coalizione sarebbe facilmente divisa: “E la Spagna ha avuto dall’Europa 40 miliardi per salvare le sue banche: impensabile che sia disponibile a posizioni antitedesche”. E da questa perla di giudizio si capisce che con la parola “Spagna”, Saccomanni pensa alle banche e ai politici, non certo alla popolazione che soffre per una disoccupazione che tocca il 25%. E poi spiega meglio: “Ma poi diciamola tutta. La fissazione italiana che si debba aumentare il disavanzo pubblico per avere più crescita è un’autentica fesseria”.
Questa è una di quelle frasi storiche, che sarebbero da incorniciare per la loro totale insipienza, se non fosse che l’autore della frase è probabilmente destinato a sparire nel dimenticatoio della storia italiana. Come si fa a far crescere il Pil senza maggiore moneta? E come si può ottenere maggiore moneta in circolazione se non chiedendola in prestito? Questo semplice ragionamento certifica che il primo vagito di ogni possibile crescita è la crescita del debito. Ma la perla finale dell’intervista è di quelle da non perdere: “A pensare male si potrebbe immaginare che l’accelerazione nel cambio di governo sia stata determinata dalla paura che Letta raggiungesse risultati troppo favorevoli: lo spread in discesa, l’economia in ripresa… A quel punto, fra un anno, sarebbe stato molto più difficile mandarci via”.
Saccomanni sembra non rendersi conto che sta denunciando il copione di un film già visto. E si tratta del copione già visto con la fine del governo Berlusconi: accelerazione del cambio di governo, con input straniero e collaborazione di pezzi di istituzioni italiane. E tutto cambia affinché nulla cambi.Ma non cambiare nulla è impossibile. Tutto cambia, anche se in un modo che ci sembra impercettibile e con passi che ci sembrano insignificanti.
La grandezza di un cambiamento non è nella grandezza delle cose terrene, ma nella coscienza delle persone. E la società civile italiana sta vivendo un grande cambiamento. La politica non se ne avvede, avvitata nelle sue cervellotiche problematiche. Ma i disoccupati e i precari continuano ad aumentare. Improvvisamente saranno troppi. Non saranno più gestibili con vacue promesse elettorali. Per quell’ora drammatica occorre che un esempio concreto di difesa della civiltà e del bene comune sia l’esperienza concreta da seguire e da diffondere. Occorre lavorare su questo, fin da ora.