Come noto, nella giornata di mercoledì, Matteo Renzi ha annunciato la diminuzione del carico fiscale per i lavoratori, oltre ad altri provvedimenti. Si tratta di un taglio da 10 miliardi a favore dei lavoratori, in particolare quelli che hanno stipendi netti fino a 1.500 euro al mese che, già dal 1° maggio, si ritroveranno una busta paga più pesante che garantirà loro un maggiore guadagno di circa 1.000 euro all’anno. Il Premier ha agito convinto da un lato che il provvedimento annunciato sarà in grado di dare una scossa al sistema economico nazionale (effetto positivo sull’economia, in particolare, a favore dei consumi), dall’altro – potendo in questo modo interessare il 55% dei contribuenti – lavorando anche su un consenso importante di cui lui per primo e l’intero governo in questo momento hanno bisogno.



Il provvedimento dovrebbe avere effetto dal 1° maggio (“per il 1° aprile non ci sono i tempi tecnici da punto di vista della strumentazione dei Ced per adeguare le buste paga”, ha detto il Premier), ed è rivolto a persone che hanno contratti da lavoro dipendente o parasubordinato, e si concretizzerà mediamente in un aumento di circa 85 euro al mese.



Come si diceva ieri su queste pagine, il dettaglio dei numeri sarà presentato nei prossimi giorni, ma già il Premier ha cercato di dare un’idea delle possibili fonti di raccolta della somma necessaria, precisando che circa 7 miliardi arriveranno dalla spending review. Se il provvedimento passerà dalla fase dell’annuncio a quella attuativa, non c’è dubbio che – nella fattispecie – il taglio dell’Irpef è senza dubbio una cosa positiva di cui fare i complimenti a Matteo Renzi.

Rimane però qualche domanda di fondo, anche perché stiamo parlando di un annuncio e non di un decreto legge: la riduzione dell’Irpef non avviene intervenendo e abbassando le aliquote fiscali (ricordiamo che per i redditi fino a 15.000 euro è del 23% e dai 15.001 ai 28.000 è del 27%), bensì questi 10 miliardi saranno di fatto utilizzati per “rimborsare” chi rientra nella fascia individuata attraverso un meccanismo di detrazioni volte a ridurre la base imponibile. Di fatto, pare, non si interverrà quindi sul “quantum” dei criteri di progressività di questa imposta, il cui principio è stabilito dall’articolo 53 della nostra Costituzione.



Questa manovra non può che essere vista positivamente, in primis perché avrà un effetto sui consumi di una fascia della popolazione che, oggi più che mai, paga una drammatica riduzione del proprio potere d’acquisto; in secondo luogo, ci si augura che innesti una spinta propulsiva di aumento dei volumi di vendita delle nostre imprese, con evidenti ripercussioni positive nel nostro sistema produttivo. Rimangono, tuttavia, parecchi interrogativi su come il nuovo esecutivo voglia portare avanti un piano di rilancio del nostro sistema industriale, stremato da tassazioni e inefficienze burocratiche e che può vedere la propria ripresa solamente se si riesce a ridare senso e stimolo alla dinamica degli investimenti.

Certamente, aver puntato su un minor impatto a livello di tassazione per una quota consistente della popolazione è un fatto positivo e potrà avere effetti duraturi solo se si darà seguito a un rilancio delle nostre imprese e dei nostri distretti produttivi che stanno rischiano di sparire o di essere sempre più acquisiti da stranieri.

Premesso che nella giornata di mercoledì, Carlo Cottarelli – commissario per la spending review – durante la sua audizione in commissione Bilancio al Senato diceva che “come massimo risparmio per quest’anno su base annua si parla di circa 7 miliardi” e che “nel 2015 i risparmi dalla spending review potrebbero arrivare a 18 miliardi di euro, mentre nel 2016 si potrebbero toccare i 36 miliardi”, è evidente – secondo queste stime – la difficoltà di contare effettivamente ora su 10 miliardi per il taglio dell’Irpef. Detto questo, ammesso e non concesso che tutto fili liscio, viene quantomeno da chiedersi fino a quando questi 10 miliardi copriranno il taglio dell’Irpef previsto. Perché è chiaro che prima o poi questo “fondo” si esaurirà.

 

In collaborazione con www.think-in.it

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