Sempre che non scoppi una vera guerra guerreggiata tra Usa-Nato e Russia-Sco, è certo che la guerra economica è già in atto da un bel po’. Il rischio che nelle prossime ore ci sia qualcuno che anche solo per errore provochi la guerra guerreggiata è reale. Ma aspettiamo gli eventi e ne parleremo poi. Intanto, occupiamoci della guerra economica che c’è.
La guerra economica che c’è ruota attorno alla dismissione del mondialismo prima maniera, quello del “mondo piatto”, che immaginava un solo egemone, gli Usa. Il mondialismo seconda maniera è multipolare, ma più certamente potrebbe diventare bipolare con alcune propaggini di proxi che agiscono sotto l’influenza d’area. I perdenti saranno i territori oscillanti (swinging) che non sanno o non riescono a esprimere la propria scelta per l’uno o l’altro blocco.
Se l’Ue e i suoi stati membri vogliono evitare la fine dell’Ucraina devono decidere cosa fare e con chi stare: la politica dei due forni è morta, anche in Italia come “Italicum dixit”. Offrendo un consiglio non richiesto, anche l’Iran e la Turchia devono rapidamente scegliere dove e con chi stare, pena la dissoluzione interna via una bella “primavera”. La grande Germania merkeliana lo ha imparato a proprie spese: le pulsioni sull’Eurasia non sono tollerate se vuole restare in Occidente, e anche le mosse borsistiche verso l’Asia promosse con insistenza da Deutsche Borse non sono accettabili. Come ha scritto George Soros nel suo Op-ed sul Financial Times, “la scelta europeista dell’Ucraina pone un problema all’Europa, che ancora deve scegliere se essere europeista”. Parole importanti, ma che vanno soppesate visto l’autore che è anche promotore delle rivoluzioni “colorate” ucraine.
Vediamo cosa ci dicono alcuni indicatori economici e finanziari. La Cina e gli Usa hanno problemi di stabilità fiscale e finanziaria che cercano di moderare attraverso una costante svalutazione monetaria. Questo spiega l’apprezzamento dell’euro, che per gli europei è una vera sciagura. In Italia, mentre il mago Renzi gioca a fare il presidente del Consiglio e tenta di vendere le auto blu su eBay (sono quasi tutte in affitto e non lo può fare), l’euro si prepara a sfondare quota 1,40 contro il dollaro. Mentre si gioca alla ruota della fortuna di Rignano sull’Arno, il contributo al Pil delle esportazioni diminuirà e si porterà giù i conti dello Stato per lo meno di altri 30 miliardi, sempre se le previsioni di rientro di capitali dalla Svizzera, la spending review e altre saccomannate reggeranno alla prova dei fatti. Altrimenti si aprirà un’ulteriore voragine da circa 10 miliardi, e arriviamo almeno a 40 miliardi! La Bce, la Merkel, e Olli Rehn lo sanno. L’unico che non l’ha capito è Renzi!
Il Financial Times del 3 marzo (pag. 9) ci informa in un apparente innocente articolo di fondo pagina che “il sistema finanziario è difettoso” come dimostra l’ingrippamento del sistema monetario parallelo dei Bitcoin. Ma con una certa perfidia tutta britannica, lo stesso giornale ci dice che “il monopolio delle banche centrali è scolpito nelle leggi, ma le leggi da sole non garantiranno indefinitamente lo status quo”. Un’affermazione da far tremare i polsi. In pratica, se si continua a provocare Russia e Cina, sorgerà un sistema finanziario alternativo a quello Usa-Ue, e allora abbiamo solo una scelta: la guerra. Insomma, ci dicono a pagina 9, il sistema sta collassando. Tutto il sistema finanziario!
Come scrive correttamente Stefano Cingolani sul suo blog, ci raccontano che gli Usa stanno rimpatriando il lavoro manifatturiero, che lo shale gas sarà la rivoluzione energetica di domani, che una serie di tecnologie stupefacenti stanno per cambiare la nostra vita, e che le politiche di definanziarizzazione del sistema economico stanno riversando capitali nei settori produttivi. Tuttavia, nonostante questi annunci la risposta dell’economia reale è molto debole. Il motivo è che ci vorrebbe una dose rafforzata di aggiustamento strutturale per almeno un decennio, cioè una profonda rivoluzione del modello sociale ed economico dell’Occidente perché questi segnali possano dare qualche speranza concreta.
Non basta in Europa che il Parlamento europeo abbia adottato la nuova Direttiva Ue per la Valutazione impatto ambientale (Via) che su imposizione britannica esclude le valutazioni di impatto ambientale obbligatorie per l’estrazione e l’esplorazione di shale gas, il gas di scisto, indipendentemente dal rendimento atteso. Tralasciamo le miracolistiche chiacchiere renziane che sebbene riproducano le paroline magiche appena licenziate dal Fmi “redistribuzione, iniquità, crescita” sono così sfocate e deboli che non avranno effetti concreti (sempre che si mettano in pratica).
Appare chiaro che perché l’economia riparta c’è bisogno urgente di cambiare il “mood”, il sentimento, degli investitori e dei lavoratori/consumatori. Per farlo ci vuole una cosa ormai divenuta rarissima: la politica! Per esempio, solo un accordo politico per la gestione del debito pubblico europeo, risolvendo il pasticcio bancario, sarebbe capace di liberare nuovamente le forze del capitalismo d’investimento sia pubblico che privato. Similarmente, solo una decisione politica, non quella stupidamente secretiva e burocratica, in materia di libero scambio tra Ue, Giappone e Usa, darebbe una spinta significativa alla crescita attraverso l’incremento degli scambi.
Si potrebbe continuare con molti altri esempi. Ma di uno non posso fare a meno. La stupidità dell’Ue nella gestione delle politiche di vicinato, verso tutte le latitudini, verso Sud e verso Est, è da sola sufficiente per mandare a casa prima della scadenza naturale tutta l’alta burocrazia europea. Non hanno capito nulla neppure nelle relazioni con la Russia, di cui la crisi ucraina è l’emblema. Van Rompuy, Barroso e Ashton dovrebbero essere cacciati in tronco dai governi e gli si dovrebbero chiedere i danni. Invece, prima che sia troppo tardi, cioè entro 3-4 giorni, si deve convocare una conferenza d’urgenza per un partenariato strategico ed economico dell’Ue con Russia e Usa. Una convocazione politica, alla luce del sole.
Invece sembra che siamo condannati a essere rappresentati da esseri inespressivi, come le figure umane di Magritte, da burocrati che non sono capaci di capire i segnali russi, peraltro già proposti anche da Kissinger, per la neutralizzazione dell’insieme dell’Ucraina, in modo da aprire a un negoziato cooperativo euratlantico ed eurasiatico su un piano di parità. Se gli eurocrati e i loro pessimi consiglieri di smunti e inutili se non dannosi think tank non sono capaci nemmeno a fare questo, allora che si chiuda l’esperienza di questa Europa.
In questo quadro geopolitico e geoeconomico sembra chiaro che Vladimir Putin è in vantaggio. Detiene saldamente la propria sovranità sull’energia di cui noi abbiamo bisogno, subito. Le favole del trasporto di shale gas americano trasformato in Lng saranno per un’altra volta. Mentre i burocrati senza faccia si esercitano sui percorsi ottimali degli oleodotti, resta il fatto che dal Sud del Mediterraneo avremo certamente gravi difficoltà di approvvigionamento (Libia docet! e tra breve anche l’Algeria) e dall’Est abbiamo un solo fornitore: la Russia. Intanto, il prezzo del petrolio continua a salire. E più ci saranno crisi ucraine e similari più alto andrà. Chi ci perde?