L’istituzione della certificazione Isee, che sta per “Indicatore della situazione economica equivalente”, risale nella sua forma completa al 2000. Il suddetto istituto, creato e strutturato dalla Commissione parlamentare Affari sociali e Finanze e approvato da un Decreto legge del Governo di allora, è l’unico strumento di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate ed è gestito dall’Inps (rimane un mistero perché la gestione non è stata affidata all’Agenzia delle Entrate). Nel tempo la richiesta di siffatta attestazione ha avuto sempre di più un impiego da parte gli enti pubblici (scuole pubbliche, università, comuni, regioni, ecc.), ed è andato gradualmente a sostituire l’autocertificazione dei redditi o la presentazione del cittadino della propria annuale denuncia.
Il calcolo dell’Indicatore sopra citato presuppone una dichiarazione sostitutiva che l’utente esegue, assumendosi la responsabilità, anche penale, di quanto dichiarato e può essere presentata presso l’ente che fornisce la prestazione sociale agevolata, al Comune, a un Centro di assistenza fiscale (Caf) e all’Inps (soltanto in via telematica). A differenza delle varie denunce fiscali che riguardano esclusivamente il soggetto individuale, l’Isee considera la situazione patrimoniale (quindi non solo il reddito), di tutto il nucleo familiare, cioè le persone presenti nello “Stato di famiglia”. Per comporre tale ammontare patrimoniale è necessario assommare in percentuali diverse, delle quali non sto dilungarmi nella descrizione, i redditi (essenzialmente escluse le pensioni sociali, d’accompagnamento, borse di studio e redditi esteri), di ogni membro del nucleo, il valore degli immobili posseduti valutati a fini Imu (escluse le case d’abitazione con una franchigia), il valore dei c/c bancari, postali, titoli e assicurazioni sulla vita. A queste poste negative per chi richiede la certificazione vanno detratte le poste positive, che sono i mutui e gli affitti passivi. Altre detrazioni in percentuale riguardano i disabili e i genitori single di figli minori. Il tutto “shakerato” per ottenere questo dai più incomprensibile indicatore.
Lasciamo perdere la fatica per applicare e gestire negli anni questo strumento, sia da parte dei creatori, sia degli operatori addetti al rilascio (Caf, Comuni, ecc.), sia soprattutto dei richiedenti. Evitiamo pure un’analisi sulla congruità e giustizia sociale con la quale si raggiunge il calcolo e il valore finale del rilevatore in oggetto. Concentriamoci, piuttosto, sull’utilità di questo mezzo atto alla rilevazione di una situazione economica di coloro che ne fanno richiesta. Prima di tutto la dichiarazione Isee non è obbligatoria presentarla: si fa solo nel caso in cui si debba usufruire a minor costo di un certo servizio pubblico. Da qui appare evidente che chi sta bene a “soldini” non si sognerà mai di far sapere il valore del suo patrimonio all’Inps, cioè allo Stato, poiché comunque la prestazione la paga per intero: quindi da certi punti di vista è come sparare sulla Croce Rossa.
Si dirà, però, che ci sono tanti “furbetti” che si fingono poveri e di fatto non lo sono: è vero, ma siamo certi che lo strumento di cui stiamo parlando sia sufficientemente efficace a snidare questi “frodatori fiscali”? Due sono i motivi di perplessità: il primo è che Inps e Agenzia delle Entrate non si parlano, cioè non c’è stato – forse adesso si sta muovendo qualcosa – un interscambio di dati identificativi relativi a tutti noi, anzi ogni ente li ha custoditi gelosamente per sé; il secondo, e anche le statistiche ministeriali lo affermano, è che si tratta di una lotta tra “pezzenti”. Quanti di questi sono in grado di evadere e per che cifra? Vale a dire, stiamo parlando in gran parte di disoccupati, cittadini extracomunitari con “decine” di persone a carico, di pensionati e di famiglie che hanno conosciuto, in questo periodo di “vacche magre”, a differenza di alcuni anni fa, le difficoltà di tirare avanti.
In più, cosa importantissima e non da tutti considerata, gli enti pubblici, in particolare i Comuni, sempre a caccia di denaro fresco per far quadrare i loro bilanci, hanno notevolmente abbassato le fasce di reddito, così che circa i tre quarti dei nuclei (e i risultati dalla situazione equivalente) superano i limiti posti e non vengono in possesso delle agevolazioni per le quali si fa l’Isee.
Non dico che è giusto che queste categorie evadano o si approprino di denari non a loro spettanti. È la solita solfa: non è meglio cercare il “furbetto della parrocchietta”, che evade sistematicamente milioni di euro, in sfere sociali più alte invece di colpire le famiglie che, ad esempio, compilano il modello Isee per risparmiare sulle tasse universitarie dei figli o di pensionati che richiedono dei bonus per sopravvivere? In definitiva, quello che influisce di più nell’indicatore è il reddito: ma il fisco ne è già abbondantemente a conoscenza mediante i nostri Cud, mod. 730 Red e così via e quindi a cosa serve un ulteriore dispositivo di accertamento erariale?
Ma ecco appropinquarsi, come in una scena di un film di Hitchcock, il fatto imprevedibile: è pronto a entrare in vigore ufficialmente dal prossimo mese di giugno il nuovo Isee 2014, già in realtà partito, ma sono ancora molti i problemi e le difficoltà che presenta. Diverse le novità in vigore da quest’anno nell’uso di questo strumento: l’intento del Ministero, come si legge nelle varie presentazioni, è quello migliorare l’equità sociale e garantire l’accesso a tariffe agevolate alle prestazioni sociali a chi ne ha maggiormente bisogno evitando gli abusi, dando più peso alla componente del patrimonio e a una nuova nozione di reddito disponibile. Tra le principali novità, saranno inclusi nel reddito, insieme a quello complessivo ai fini Irpef, anche: tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (ad esempio, contribuenti minimi, cedolare secca sugli affitti, premi di produttività, Tfr, ecc.); tutti i redditi esenti e, quindi, anche tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica amministrazione (assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento, ecc.); i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari.
Il nuovo Isee considera il patrimonio all’estero e il valore degli immobili rivalutato ai fini Imu; riduce la franchigia massima sulla componente mobiliare, che però sarà articolata in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare, in quanto sale di 1.000 euro per ogni figlio dal terzo in poi; sugli immobili, si considera patrimonio solo il valore della casa che eccede il valore del mutuo ancora in essere. Il nuovo Isee non prevede, inoltre, l’ampia possibilità di autocertificazione e d’ora in poi solo una parte dei dati potrà essere autocertificata dal contribuente, mentre i dati fiscali e i dati Inps più importanti saranno compilati direttamente dall’Amministrazione.
Secondo alcune simulazioni compiute (e noi vogliamo ardentemente crederlo!), lo strumento sembra in grado di cogliere le differenze tra le specifiche condizioni delle persone meglio che in passato, ma permangono comunque difficoltà: diversi operatori, infatti, lamentano complessità gestionale del nuovo Indicatore e un impegno notevole richiesto agli enti coinvolti, a partire dai Comuni, soprattutto per puntare all’equità. Per conoscere, infatti, le reali condizioni delle persone bisogna raccogliere ed esaminare più informazioni di prima e, considerando la minore autocertificazione rispetto a prima, bisognerà andare a cercare i documenti necessari negli archivi dell’Inps e dell’agenzia delle Entrate. Cosa complessa da mettere in atto, nonché lunga e come si diceva prima, l’unico intervento possibile, da parte dello Stato, per rendere più agevole tale procedimento è la predisposizione di una banca dati coordinata tra Inps e Agenzia delle Entrate che renda quasi automatica la disponibilità degli eventuali documenti richiesti, in modo computerizzato, e da non far perdere tempo.
Sarà così? O si tratta del solito tentativo di cambiare e modernizzare un sistema fiscale vetusto, creando poi confusione e dando possibilità, producendo del pseudo nuovo lavoro, di rimanere a galla a enti statali ormai alla deriva economica: tutto alla faccia di un nuovo “welfare”?