La situazione internazionale determina sempre le relazioni tra nazioni. È un concetto a cui non si fa più riferimento, tanto siamo piegati sul racconto di una politica sempre più vista dal buco della serratura e tesa a distrarre non solo le masse, ma anche ciò che rimane dell’establishment, dai problemi essenziali. Si veda la questione Renzi-Merkel. Dopo la visita in Francia, con un Hollande a metà tra filo-nordamericanesimo e filo-germanesimo, coloro che ancora credono nella politica non solo come spettacolo, ma come unione di spettacolo e contenuti, erano certi che Renzi avrebbe riproposto con continuità il leit motiv della sua azione. Ossia la rinegoziazione, con prudenza e con moderazione, ma con decisione, come aveva annunciato, dei parametri europei: in primis la questione della necessità di sforare – come si dice oggi – il tetto non solo del 2,6%, ma altresì quello del 3% del deficit. E poi avrebbe certamente fatto cenno a una questione che lo stesso Monti – ed è tutto dire – aveva sollevato a suo tempo: ossia la non contabilizzazione nel deficit delle spese fatte per investimenti e – disse poi anche Letta- dirette a promuovere la coesione sociale. Rivoluzione in atto!
Renzi non ha fatto nulla di tutto questo e ha dichiarato che non solo rispetterà il 3%, ma anche il 2,6%, e tutto farà sul fronte interno diligentemente per portarci verso i traguardi deflazionistici. Certo le misure sull’Irpef sono importanti come segnale, ma ancora insufficienti, sebbene vadano appoggiate fortemente anche perché si associano a quelle sull’Irap. Ma sol così facendo – anche con la giusta spending rieview diretta ad abbattere gli spazi rent seeking – certo si può fare un pezzo di strada, ma non si può percorrere lo stretto sentiero che porterebbe alla crescita. La crescita, con i vincoli attuali europei, non è possibile per le nazioni che non hanno il surplus commerciale come quello tedesco.
Addirittura la Commissione europea – che non è ancora completamente controllata dal blocco teutonico nordico – ha richiamato la Germania su questa questione, invitandola a sviluppare di più il mercato interno e a promuovere maggiormente le sue importazioni, così da dare un po’ di respiro, con l’ampliamento della sua domanda effettiva interna, e non con quella esterna, alle economie degli altri paesi europei, nazioni del Sud Europa in primis. Il problema è che le coperture non si troveranno senza sforare i tetti europei. A meno che non si voglia tagliare la spesa pubblica per la coesione sociale e per il sostegno alla produzione, che esiste, eccome, e che costituisce l’essenza sia del modello sociale europeo, sia della produttività totale (infrastrutture, servizi tecnologici, ecc). Infatti o si esce dai parametri succitati – non dall’Europa – o si esce dal sistema sociale europeo: bisogna scegliere.
Il sentiero stretto di Renzi è questo e solo questo. E tutto ciò non è possibile conservare anche applicando le misure che molti, tra cui chi scrive, hanno invocato per ridurre il debito quanto basta per muovere subito verso gli albori della crescita senza rinegoziare i trattati europei: dalla cartolarizzazione del debito alla vendita dei beni immobili statali obsoleti. Renzi deve decidersi.
Non parliamo, poi, del Fiscal compact, che renderà un deserto l’economia europea. E non parliamo della prossima Unione bancaria, che non consentirà di dar vita a qualsivoglia intervento di salvataggio delle banche in dissesto condividendone gli oneri tra le nazioni europee, avvantaggiando in tal modo l’oscurità delle banche tedesche, di cui si proteggono gli asset tossici e la non trasparenza, penalizzando tutte le altre banche con conseguenze inimmaginabili.
Wolfgang Munchau, il 17 marzo, ha sollevato questa questione sul Financial Times e ha invocato la non applicazione della tanto strombazzata Unione bancaria. Renzi sembra consapevole di queste questioni, ma deve tradurre la consapevolezza in azione. Padoan non ha mosso un dito: eppure viene dal Fmi e dall’Ocse, che hanno cambiato linea di politica economica in questi ultimi tempi e criticano l’austerità europeo-teutonica con intelligenti argomentazioni. Insomma, tutto tace. Non si fa un passo innanzi sulle questioni di prospettiva.
Ebbene, è vero che la pressione delle prossime elezioni europee è forte e bisogna mandare messaggi rassicuranti anche se non si cambia nulla. Ma così si gioca con il fuoco. Lo scambio politico, che è la vera cifra politica renziana, si è messo in atto: non si incide con il bisturi in Europa, ma si danno – in cambio di riforme di lungo periodo e di difficile ma indispensabile attuazione – riforme invece dirette a soddisfare le esigenze di ampi strati di popolazione a cui il Premier si rivolge direttamente: ossia si agisce sull’Irpef come si agisce sul mercato del lavoro assicurandosi l’appoggio dei sostenitori della sua liberalizzazione anche senza un sostegno sociale che elimini il precariato.
A me pare, insomma, che si sia cambiato registro, quasi come ci si fosse spaventati di qualcosa. La ragione è nella straordinaria debolezza nordamericana in Europa e in Italia. Intendiamoci: gli Usa hanno ormai una presa diretta in Italia: comandano. E senza passar dal voto comandare è tanto più facile! Comandano con esponenti locali attenti alle loro esigenze. Io sono convinto che oggi, non ieri, le esigenze degli Usa in Italia siano le giuste esigenze dell’Italia, e ciò in politica estera e non per quel che riguarda la divisone internazionale del lavoro, beninteso. Ora il Mediterraneo è in fiamme e noi italiani abbiamo bisogno della loro difesa come loro hanno bisogno delle nostre basi e del nostro benessere sociale ed economico. I tedeschi ne hanno bisogno anch’essi, ma non lo comprendono perché sono di nuovo dominati dallo spirito di potenza. Mai come in questo momento il keynesismo di Obama e Bernanke e Mrs. Yellen , come ho più volte scritto, è essenziale per non essere desertificati dalla deflazione tedesca e dalla distruzione del nostro sistema di protezione sociale.
Il fatto è che ora la presa diretta non si esercita più in forma sufficiente, appena sufficiente, per carità! E questo dinanzi e a causa della confusione che si è creata in occasione della crisi ucraina. Sono troppo occupati, gli Usa, in quel plesso di tempo e di spazio. Ma non posseggono capacità di implementazione. Succede ciò che successe con il putsch portoghese nel 1974. Anche allora accadde l’incredibile! In una nazione dove gli Usa avevano basi e servizi, i comunisti neostalinisti e le forze armate anticolonialiste e neomaoiste presero il potere con conseguenze devastanti. Kissinger nelle sue memorie spiego poi ch’erano troppo occupati con la tragedia del Vietnam per star dietro a uno Stato periferico in Europa. Oggi succede la stessa cosa. Ma senza Kissinger. E le conseguenze possono essere devastanti. Il centro e il sud Europa non sono periferici.
Si veda come si procede con l’ Ucraina. L’Europa non ha avuto la capacità diplomatica di dire a Putin mesi or sono che, qualsivoglia scelta internazionale l’Ucraina avesse assunto, nessuna decisione sarebbe stata presa senza che fosse mantenuto il controllo della base militare di Sebastopoli nelle mani russe. La Russia per quella base, del resto, paga un lauto affitto, come fa in Kazakhstan con quella nucleare. E mantenere il controllo su Sebastopoli voleva dire mantenere di comune accordo anche il controllo sulla base di Taurus in Siria. Ora gli Usa minacciano militarmente, dalla Polonia, una Russia contro la quale non si possono applicare sanzioni economiche decisive per via dell’interconnessione della globalizzazione. Ma mi pare che gli Usa siano terribilmente distratti, come un tempo lo furono con il Portogallo; ma ora non c’è il Vietnam. E il Trattato transatlantico bisogna pur farlo, se vogliamo assicurare di nuovo la crescita mondiale. Ma questo non si fa con una Germania che continua con queste politiche economiche che fanno presagire un suo impegno anche militare, a cominciare dalla Repubblica Centroafricana. Insomma: mi pare che Renzi non senta più accanto a sé il giusto e benefico appoggio degli Usa, che ne segnò l’ascesa rapida e assai felice. E questo sarebbe veramente tragico.
Prova, questa, che senza sostegno internazionale l’Italia non può tornare a crescere e che questo sostegno può essere solo quello degli Usa. I giocatori si sono tuttavia smarriti. A riprova di come siano le persone umane a far la storia e mai il contesto in cui esse si trovano ad agire…