La vera battaglia di Renzi? Il Fiscal compact. Le originarie intenzioni dell’attuale presidente del consiglio erano alquanto bellicose, ma in seguito si è dovuto ammorbidire e confrontare con la posizione dell’Europa e di Angela Merkel. Renzi è reduce dall’incontro di Berlino con la Cancelliera e dalla trasferta di Bruxells, dove ha incassato il sostegno (dopo i sorrisini) di Manuel Barroso circa le riforme economiche italiane. In ogni caso, l’Italia dovrà rispettare il percorso di rientro del debito delineato dal Fiscal compact e il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil, dal quale Renzi cerca di scorporare i fondi europei per investirli in interventi a sostegno delle infrastrutture e dell’edilizia scolastica. Ci riuscirà? Per Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica, il problema è un altro: si chiama euro.
Fiscal compact: dalla Camusso a Renzi, passando per Grillo, tutti individuano qui il problema. È possibile cambiarlo? E come?
Premessa d’obbligo: il Fiscal compact, nella sua declinazione più pericolosa – ovvero quella che impone il rientro di un ventesimo del debito eccedente il 60% del rapporto debito/Pil – entrerà in vigore nel 2015, tre anni dopo la fine della procedura d’infrazione. Il problema è che noi siamo in crisi adesso: non siamo in crisi per colpa del Fiscal compact, che rimane comunque una porcheria assurda…
Per colpa di cosa allora? L’euro?
Sì, siamo in crisi per colpa dell’euro perché ci siamo trovati in un sistema economico sbagliato, che azzoppa la nostra impresa. Ci troviamo in un sistema folle dove noi – che ci siamo dovuti portare in casa l’austerità per rimettere a posto i conti – siamo costretti a non comprare troppi prodotti esteri e a creare, invece, disoccupazione e povertà, abbattendo i salari.
Cosa bisognerebbe fare?
Sicuramente non sforare il 3%, come se non avessimo approvato il pareggio di bilancio in Costituzione. Con le regole attuali, in realtà, non possiamo fare proprio nulla. Se anche paradossalmente ce ne infischiassimo del pareggio del bilancio (la cui definizione nella legge è stata tenuta volutamente ambigua) e sforassimo questa soglia, i soldi in più che arriverebbero alla gente finirebbero ad acquistare prodotti stranieri con la conseguenza che si dilaterebbe la forbice sulla bilancia commerciale. Dovremmo farci prestare i soldi, tornando così alle cause pre-crisi. Insomma, non vi sono soluzioni che non contemplino l’uscita dall’euro. Aspettiamo, arriverà.
Renzi e Grillo affrontano questo tema in ottica di consenso elettorale o hanno un programma serio?
Chiunque non prenda in considerazione il problema euro invece dei vincoli europei è disinformato o in malafede. Io, da economista, non so se Renzi abbia veramente idea di quello di cui parla – cosa che può anche essere -, visto che quando lo sento parlare mi sembra che di economia non capisca nulla. I suoi collaboratori sono o gente che ha degli evidenti interessi dal punto di vista economico (come Serra) o gente che, nonostante posizioni accademiche di prestigio, capisce ben poco o dice cose in cui non crede. Di Taddei, per esempio, ricordo che diceva che era facilissimo trovare 15 miliardi di finanziamento riordinando i super-stipendi dei dipendenti pubblici. Ecco, se era così semplice, mi domando allora perché bisogna fare tagli alla polizia e così via. L’idea mia è che siano o incompetenti o in malafede.
E Grillo?
Anche lui non ha idea: è incompetente o è in malafede. Nel momento stesso in cui parla di “debito immorale”, io, che ho a casa i miei risparmi in Btp, mi domando se sono risparmi morali o immorali. Uno che non sa che a fronte del debito ci sono dei risparmi e che la larga maggioranza del debito pubblico italiano è detenuto dagli italiani è solo una persona pericolosa. Vogliamo forse gettare nella miseria tutti i risparmiatori? La sua è una posizione assurda.
Che margini ci sono per cambiare le regole scorporando i fondi per l’investimento dal deficit/Pil? E che effetto ci sarebbe per l’Italia? Un maquillage contabile o qualcosa di più?
Ma non è questo il punto: non serve a nulla. Nel 2013 tra i dieci Stati stagnanti e in recessione (facenti parte dell’elite economica mondiale) nove avevano l’euro e otto di questi avevano sforato il 3% del rapporto deficit/Pil. Non basta certo non sfondare il tetto. Noi possiamo scorporare e cambiare le regole contabili, ma questa è una crisi di domanda: per risolverla bisogna portarla. Come? Per coprire il gap di competitività tra l’Italia e la Germania bisogna riallineare il cambio.
Per quanto riguarda invece l’armonizzazione delle leggi sul lavoro a livello europeo che conseguenze ci sarebbero? L’Italia ci guadagnerebbe o no?
Supponendo che il problema sia questo, noi possiamo anche parificare le leggi sul mercato del lavoro, ma non per questo, noi in crisi, recuperiamo il distacco dalla Germania, che ha il 20% di vantaggio, datogli dall’euro. Siamo come due corridori: loro sono avanti di mezza pista. Ci possiamo anche mettere a correre veloci come loro, ma mica li raggiungiamo. Per tornare alla pari dobbiamo riprenderci la nostra moneta.
(Fabio Franchini)