Sostenere chi crea posti di lavoro, ricostituire un tessuto industriale che possa offrire una speranza ai giovani e tornare a incentivare i consumi, ma senza cadere “nella logica perversa del consumismo”. Sono queste le principali proposte avanzate dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, durante la prolusione pronunciata in occasione del Consiglio Episcopale Permanente. “Con la responsabilità accorata di Pastori – ha detto il cardinale rivolgendosi direttamente all’esecutivo – auspichiamo che il nuovo Governo riesca a incidere su sprechi e macchinosità istituzionali e burocratiche, ma soprattutto a mettere in movimento la crescita e lo sviluppo, in modo che l’economia e il lavoro creino non solo profitto, ma occupazione reale in Italia”. Sono trascorsi più di sei anni dall’inizio di una crisi economica “che chiede un prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione”, ma che soprattutto “si riversa come una tempesta impietosa sui giovani che restano, come una moltitudine, fuori della porta del lavoro che dà dignità e futuro”, ha aggiunto Bagnasco. “Essi, a dire il vero, anche di recente mostrano una grande pazienza, e danno prova d’intraprendenza grazie alla genialità che spesso caratterizza l’età giovanile”, ma ciò non è sufficiente “se non vi è un tessuto industriale pronto a riconoscerne i pregi, a recepirne i risultati e a metterli in circolo su scala”. Insieme all’economista Ettore Gotti Tedeschi, abbiamo commentato le varie idee e proposte espresse dal presidente dei vescovi.



Bagnasco fa un appello al governo e al premier Renzi, condividendo in molti punti la linea dell’esecutivo. Cosa ne pensa?

Credo anzitutto che il Presidente della Cei abbia il diritto e il dovere di fare richiami ai governi in carica e avanzare proposte da sottoporre alla loro attenzione. In specifico, nel discorso del card. Bagnasco trovo l’evidenziazione di un problema, di una proposta e infine di un auspicio.



Iniziamo dal problema.

Il problema viene evidenziato quando il card. Bagnasco lamenta che la crisi è iniziata da ben sei anni e non sembra esser stata “gestita” in modo adeguato e con risultati, anzi. Ha ragione, finalmente una “autorità morale” di questo prestigio sottolinea questa inadempienza dei governi nella capacità alla gestione dei risultati della crisi. Vorrei solo rilevare che è vero che da sei anni è “iniziata” ufficialmente la crisi economica, ma cambierei l’espressione come segue: sei anni fa è esplosa l’insostenibilità di una crisi morale e poi economica che per almeno vent’anni è stata confusa, cammuffata con espedienti finanziari al fine di non evidenziare l’insostenibilità di una crescita fittizia, consumistica e a debito sempre più alto. Da sei anni questa crisi è esplosa e non si è corretta, come si sarebbe dovuto fare, fin dall’inizio, illudendosi e illudendo, che fosse facilmente superabile, anziché affrontarla concretamente e responsabilmente, come da più parti si chiedeva. Anche proponendo come farlo.



Qual è invece la proposta di cui parlava? 

È quella di “incentivare i consumi senza tornare alla logica paerversa del consumismo”, decisamente più complessa da commentare. Il consumismo progressivamente sempre più elevato e a debito che è stato imposto alla nostra società negli ultimi decenni è spiegato da una considerazione morale-economico-politica che Papa Benedetto XVI ben esprime in Caritas in Veritate. Il consumismo ha compensato il crollo delle nascite. La domanda che porrei è dunque questa: come è possibile far crescere il Pil di un Paese maturo, su un periodo adeguatamente lungo, se la popolazione non cresce?

 

Come?

Facendo crescere i consumi individuali. E per farlo bisogna ridurre i risparmi e soprattutto accrescere il potere di acquisto. Questo si ottiene diminuendo il costo dei prodotti comperati, che allora devono essere importati da paesi a basso costo verso i quali si sono delocalizzate le produzioni, deindustrializzando conseguentemente il Paese. E ciò spiega la disoccupazione crescente post-crisi, ma significa anche che per creare lavoro e occupazione in Italia si deve consumare italiano. In realtà. una percentuale altissima di ciò che in Italia si consuma è prodotta all’estero e importata. Cosicchè far crescere i consumi significa, aspetti morali a parte, aumentare le importazioni. E ogni prodotto importato crea occupazione nel Paese dove è prodotto. Chi importa fa commercio.

 

Ci parli invece dell’auspicio del card. Bagnasco.

Il presidente della Cei auspica che si possa sprecare di meno e attuare allo stesso tempo una vera politica di sviluppo economico che crei occupazione. Totalmente d’accordo, ma gli sprechi non sono affatto riducibili con facilità, perchè ogni spreco è un posto di lavoro. Per fare sviluppo economico abbiamo invece bisogno di più “comprensione” da parte di Bruxelles che ci impone solo i criteri del patto di stabilità ignorando che per stare veramente stabili in Italia, cioè non aumentare il rapporto debito/Pil, si deve aumentare il denominatore e non ridurre il numeratore. E, chissà perchè, qui l’Europa sembra esser indifferente. Molto meno indifferente sembrano essere gli Usa, che sembrerebbero aver deciso loro di aiutarci in tal senso.

 

Gran parte dell’intervento di Bagnasco è stato dedicato alla lotta alla povertà e agli sforzi necessari per sostenere i giovani, principali vittime della crisi.

I giovani sono le vittime principali perché non trovano lavoro, che non si crea perché per decenni abbiamo delocalizzato e non investito in produttività, proprio per consumare sempre più. Ma vittime della crisi sono ancor più gli anziani che non sono più mantenibili come prima. Non aver fatto figli nei paesi ricchi (ex ricchi) e aver solo consumato ha trasformato il mondo: quello occidentale in un mondo fatto di consumatori non più produttori e quello orientale fatto da produttori non ancora consumatori. Ma ora siamo noi i poveri, non diamo lavoro ai giovani e non manteniamo i vecchi.

 

Cosa pensa dunque della “ricetta” della Cei nel suo insieme?

L’autorità morale non fa lezioni di economia, ma si limita a esporre o ricordare il problema, a suggerire proposte, ma soprattutto a ricordare, con un auspicio, che il governante non dimentichi la dignita dell’essere umano che lui sta governando e ricordi le leggi naturali che regolano anche l’economia. L’autorità morale ricorda al leader che la vera leadership deve servire al bene comune.

 

Bagnasco parla poi anche di una situazione aggravata dalla rottura dei rapporti coniugali, del diritto all’obiezione di coscienza e del rinascere di una “logica distorta e ideologica”. In che modo questi fattori incidono?

Vede, ci sono due punti cardine che sorreggono l’architettura di una società. Il primo è la dignità che si riconosce alla persona umana, mentre il secondo si riferisce alle leggi naturali conseguenti alla Creazione. Tutto ciò che nega la dignità dell’uomo e le leggi naturali, incide non solo sulla vita stessa ma anche sull’economia dell’uomo, squilibrandola. Non far figli, sostenere l’aborto come “bene” per la donna e la società, non sostenere le famiglie naturali considerandole cellule di egoismo educativo, sono esempi che benissimo ha fatto il card. Bagnasco a ricordare agli auditori con responsabilità di governo.

 

(Claudio Perlini)