Il 17 febbraio su queste pagine abbiamo visto come man mano che passavano i mesi la stima di quanto si sarebbe privatizzato nel 2014 si restringeva. A fronte di un programma di circa 20 miliardi presentato il 21 novembre 2013 (e di un programma di almeno 60 miliardi delineato in uno studio di Glocus e dell’Istituto Bruno Leoni), all’inizio di febbraio 2014 (ossia poco prima che il Governo Letta venisse rimpiazzato dal Governo Renzi), l’allora ministro dell’Economia e delle Finanze Fabrizio Saccomanni ha ridotto la stima a 8 miliardi. In una recente occasione pubblica, suo successore, Pier Carlo Padoan, ha detto che si può fare di più, ha parlato di cessioni di quote di Enel ed Eni, nonché di Fincantieri. Non ha azzardato alcuna stima quantitativa. Non ha neanche indicato se lo Stato cederà a privati lo scettro della gestione delle holding menzionate; difficile parlare di privatizzazioni se la stanza dei bottoni continua a essere al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).
Siamo comunque ben lontani dalle stime di novembre 2013 secondo cui le prime dismissioni avrebbero riguardato una partecipazione non di controllo di Poste Italiane ed Enav (deliberata il 24 gennaio 2014 dal Consiglio dei Ministri) a cui avrebbero fatto seguito, nei prossimi mesi, quelle di Sace eGrandi Stazioni (partecipata al 59,99% dalle Ferrovie dello Stato Italiane) e quote non di maggioranza di Stm, Fincantieri e Cdp Reti, nonché di Eni. Non solo l’ammontare è non determinato, e siamo già nel secondo trimestre dell’anno, ma l’ampiezza di cosa privatizzare è molto più modesta di quanto anticipato alcuni mesi fa.
Nel frattempo, come noto, la Banca centrale cinese ha acquistato quote di Eni ed Enel. Gli investimenti esteri sono benvenuti (soprattutto all’Enel che un significativo indebitamento e per cui l’arrivo di partner stranieri può rappresentare un aumento della base patrimoniale). Non credo, però, che si possano considerare privatizzazioni l’ingresso di un socio “pubblicissimo” come la Banca centrale cinese nell’azionariato di due delle maggiori partecipate del MEF.
A questo punto occorre chiedersi cosa ostacola le privatizzazioni in un Governo che vorrebbe essere all’insegna di un drastico rinnovamento, il quale non potrà avvenire se non si “destatalizza” tutto ciò che è “destatalizzabile”. Il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, è un economista di vaglio e, per quanto vanti una tradizione culturale di sinistra, negli ultimi dieci anni (al Fondo monetario, all’Ocse e alla direzione della Fondazione Italiani-Europei) si è sempre mostrato favorevole a privatizzare quanto privatizzabile. Pare, però, isolato all’interno di un Governo in cui le privatizzazioni non sembrano essere a un posto elevato nell’agenda delle cose da fare.
Quali le ragioni? C’è certamente un aspetto generazionale: il sessantaquattrenne Padoan è distante da chi vuole marcare un cambiamento generazionale nella classe politica. O è da suoi più giovani colleghi considerato lontano, appartenente a una classe di età che comunque ha fatto il suo tempo, È noto che è stato accettato nell’Esecutivo principalmente per il prestigio internazionale di cui gode e le relazioni internazionali che ha costruito in quaranta anni di una vita accademica e professionale che lo ho portato in tutto il mondo.
C’è, pero, un aspetto più sottile e poco analizzato. Non è la prima volta in Italia che avviene un brusco cambiamento generazionale nella classe dirigente politica. È però la prima che nelle “stanze dei bottoni” ci sono politici la cui esperienza è stata fatta non tanto nei partiti nazionali (in gran misura liquefattisi negli ultimi vent’anni) ma nelle amministrazioni locali. Quello presieduto da Matteo Renzi è il primo “Governo dei Sindaci” dall’Unità d’Italia. I suoi protagonisti portano esperienze, e quindi ottiche, molto differenti da quelle di chi ha fatto un “cursus honorum” a livello nazionale nei partiti.
Il “Governo dei Sindaci” porta con sé la cultura del “capitalismo”, o del “socialismo” (è solo una questione nominalistica), municipale e regionale – che rappresenta l’1% del Pil nazionale ma in alcune Regioni rappresenta il 6% del Pil prodotto in loco. Anche se paludati studi della Bocconi e della Sapienza ne hanno messo a nudo distorsioni e inefficienze, esponenti di spicco del “Governo dei Sindaci” hanno contribuito, in buona fede, a costruirne i blocchi essenziali. Con un entusiasmo simile a quello che, in età giolittiana, animava Giovanni Montemartini, assessore a Roma quando era sindaco Ernesto Nathan, e autore di un libro sulle municipalizzate che si studia ancora (nelle università americane, piuttosto che in quelle italiane).
Le privatizzazioni non si addicono a un contesto del genere. E il buon e bravo Pier Carlo Padoan (considerato comunque un “matusa” da molti di coloro che siedono con lui al tavolo del Consiglio dei Ministri) è un pesce fuor d’acqua. Tanto quanto le “denazionalizzazioni”.