Ieri la borsa italiana ha chiuso con un calo superiore al 3% in una giornata di passione per i listini azionari europei e non: Germania -3,44%, Francia -2,66%, Spagna -2,25% e Inghilterra -1,5%; la borsa americana non si è discostata da questo andamento. Le notizie che durante il weekend sono arrivate dall’Ucraina, con i militari russi che hanno occupato la Crimea, e poi peggiorate nel primo pomeriggio di ieri, con l’agenzia Interfax che dava notizia dell’ultimatum delle forze russe ai militari ucraini (poi smentita in serata da Mosca), hanno determinato i destini dei mercati finanziari ben oltre, in realtà, i listini azionari. Il petrolio è salito e l’oro anche, ai massimi degli ultimi 4 mesi, il franco svizzero si è rafforzato e il Vix è esploso ai massimi dell’ultimo mese; il mercato e gli investitori, in sostanza, sono corsi ai ripari cercando, per quanto possibile, protezione da rischi imprevedibili.
Andare a scandagliare il listino alla ricerca dei titoli con i cali più pronunciati perché più esposti all’economia russa è certamente un esercizio interessante, ma rischia fortemente di far perdere di vista lo scenario generale. Certo, le società esposte al mercato russo o ucraino hanno perso di più di quelle che invece non hanno alcuna presenza in quelle regioni, ma i cali sono stati diffusi e sensibili indipendentemente da una presenza in nei due paesi. Ubi e Intesa Sanpaolo, per fare due esempi, hanno perso il 5% e il 4%, Telecom Italia, per farne un altro il 3,5%.
È utile, anche in questa occasione, fare un passo indietro e mettere le vicende “ucraine” all’interno del contesto dei mercati finanziari di queste settimane, altrimenti il rischio, già di per sè piuttosto alto, di non capire nulla e di perdere completamente di vista i termini della questione diventa inevitabile.
I mercati sono saliti nonostante performance economiche terribili, come evidenziato dagli ultimi dati economici italiani, e nonostante sulla ripresa americana, che pure innegabilmente c’è, rimangano punti oscuri e interrogativi seri. Il rally dei Btp è avvenuto contemporaneamente a un peggioramento dei dati economici italiani senza precedenti. Ci si è interrogati sulla solidità delle performance economiche dei paesi in via di sviluppo finora mai messi davvero in discussione (a partire dalla Cina). Il nostro listino è salito su una scommessa rozzissima – l’economia italiana ha toccato il fondo e i titoli sono “cheap” (convenienti) – che ha come presupposto un eccesso di liquidità alla disperata ricerca di ritorni e rendimenti indipendentemente da rischi e incidenti di percorso.
In un mondo in cui in certi mercati, per esempio la grandissima parte di quello obbligazionario, non offrono più rendimenti, l’appetito per rendimenti non insignificanti è esagerato. Intesa Sanpaolo, la banca italiana per eccellenza nella mente degli investitori globali, prima di ieri era salita del 25% da inizio anno e il suo prezzo ad azione era quasi raddoppiato rispetto a 12 mesi fa.
L’impressione fortissima è che i mercati siano andati molto in là con le scommesse; non significa che abbiano sbagliato, perché se l’Italia uscisse dalla crisi e si riprendesse per davvero, e le banche centrali continuassero a stampare, i numeri delle società potrebbero cambiare in meglio e molto. Il punto vero è la quantità di “se” che certe scommesse implicitamente hanno considerato; se l’Italia ha toccato il fondo, se le riforme vengono fatte, se la Germania allenta i requisiti, se dall’America continuano ad arrivare investitori e soldi, se le banche centrali non cambiano linea d’azione, ecc. Tutti questi se, con risposta positiva, determinano quello che si è visto sui mercati. L’esempio italiano è interessante non solo perchè ci riguarda da vicino, ma anche perché testimonia in modo evidente lo scollamento impressionante che si è creato tra realtà, drammatica, e aspettative.
Veniamo ora alle tristi vicende ucraine. La questione vera, per i mercati, è se questa “novità” cambi e in che modo e misura lo scenario che i mercati hanno sposato negli ultimi mesi. È ovvio che se la situazione degenerasse lo scenario cambierebbe e vedremmo i mercati andare avanti sulla falsariga di ieri per molto tempo e con movimenti importanti perchè, non lo ha detto nessuno, rispetto a quanto successo negli ultimi mesi ieri è successo poco e niente.
È meno ovvio capire come questa novità che è accaduta, dopo un’eventuale normalizzazione, cambierà l’umore dei mercati. Il fattore “rischio” per mesi scomparso è riapparso all’orizzonte. Non sempre tutto va bene o secondo i piani e non sempre tutte le rosee aspettative vengono attese. Magari si riparlerà di “spread” e di mercati, magari invece ci si accorgerà che mercati e spread vanno presi con le pinze, sia quando sono sopra 500 che sotto i 200. Il numero di imprese che chiudono e di disoccupati invece importa sempre; una percentuale, per la cronaca, che fa media con un settore pubblico passato quasi completamente indenne alla crisi. Speriamo davvero, molto egoisticamente, che non ci sia nessuna guerra che smascheri il bluff di oggi in attesa che l’Italia si possa davvero presentare con qualche buona carta in mano.
Tra decreti che salvano i cattivi e fanno pagare ai buoni sempre e comunque e i soliti, inquietanti, rumours sulle privatizzazioni di roba buona a prezzo buono o su salvifici interventi di investitori esteri solo e sempre nelle società migliori a prezzo di saldo, di belle carte se ne vedono davvero poche.