Record di acquisti per i titoli di Stato italiani: i Btp decennali sul mercato secondario hanno raggiunto il 3,38% di rendimento, poco sopra il minimo storico del 3,29% registrato il 31 agosto 2005. Un dato che evidenzia come il numero di investitori pronti a scommettere sui titoli di Stato italiani negli ultimi tempi sia aumentato, tanto che lo spread resta sotto quota 180. Per Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica, «nonostante la buona performance dei Btp, il vero dato che conta è l’inflazione sempre più bassa».
Professore, ci spieghi il rapporto tra rendimento dei Btp e inflazione…
I tassi dei Btp sono calibrati in primo luogo sulla base dell’inflazione e in questo momento essa è arrivata praticamente a zero. Il vero rendimento dei titoli va commisurato all’aumento del costo del denaro che “erode” gli interessi. Se i Btp fruttano il 4% e l’inflazione il 2%, il rendimento è più basso rispetto a quando l’inflazione è allo 0% e i Btp fruttano il 3%. La vera questione quindi è che a essere anomalo è il crollo dell’inflazione nell’Eurozona, mentre gli interessi reali negli ultimi tempi non sono molto cambiati.
Come va interpretato il crollo dell’inflazione?
Il crollo dell’inflazione non è esattamente un buon segno, soprattutto per un Paese fortemente indebitato come il nostro. La deflazione è un segnale di forte stress economico in quanto è figlia della disoccupazione montante, del credit crunch e del fatto che il denaro non circola. Il rischio più grave è che il basso rendimento dei Btp, che apparentemente sembra una buona notizia, in realtà sia indice di un forte malessere. Nello scenario peggiore ci staremmo avvicinando a un periodo di deflazione, in mancanza di qualsiasi tipo di azione da parte della Bce.
Quali sono le contromisure da adottare nei confronti di questo scenario?
Stati Uniti e Giappone finora hanno stampato tonnellate di denaro, eppure tutto ciò non è bastato a creare stabilmente dei dati di inflazione soddisfacenti. In Europa non si è mai fatto nulla di tutto ciò e dobbiamo domandarci se non ci sia il rischio che si arrivi al completo stop dell’attività economica.
Che cosa deve fare il governo Renzi?
In presenza di una situazione di deflazione, solo un folle può pensare di tassare i risparmi come intende fare il nostro governo. Se si aumenta l’imposizione fiscale sui Bot o sul bollo relativo al conto corrente si incentivano i risparmiatori a lasciare il denaro in cassaforte anziché a investirli in titoli di Stato. L’assenza di inflazione fa sì che anche se lascio i miei risparmi sotto il materasso il loro valore non cali.
E quindi?
La tassa sulle rendite finanziarie incentiva i cittadini a togliere i soldi dalle banche e dagli altri impieghi improduttivi. Li si incoraggia così a scegliere modalità invisibili per conservare il proprio denaro, in modo che non sia attaccabile da patrimoniali, tasse, rischi di bail-in bancario. L’accoppiata di inflazione e maggiori tasse sui risparmi è quindi mortale.
Chi c’è dietro l’aumento degli acquisti di Btp?
Chi acquista Btp in questo momento sono principalmente gli investitori esteri, soprattutto giapponesi, che stanno cercando disperatamente un minimo di rendimento reale ma acquistano soltanto delle particolari tipologie di titoli. Non potendo ottenere un rendimento più alto dai certificati di deposito della banca o dai certificati postali, si sceglie quindi di investire in Btp. Se questo pur minimo rendimento dovesse però essere minacciato da nuove tasse, in molti andranno in banca a prevelare per mettere i loro averi “al sicuro”. Ben diverso era invece il caso degli anni ‘80, quando l’inflazione era a due cifre tanto che nessuno si sognava di tenere i soldi in un impiego improduttivo perché sarebbero stati fortemente decurtati a fine anno.
(Pietro Vernizzi)