Tutta l’Unione europea è attraversata da squilibri multipli, ma ci sono gli squilibri semplici e quelli eccessivi. I primi riguardano la Germania, perché mantiene un surplus enorme nella bilancia dei pagamenti (quindi dovrebbe aumentare la domanda interna), e la Francia, che al contrario ha un deficit commerciale troppo alto (quindi deve migliorare la produttività). Gli squilibri eccessivi colpiscono soprattutto tre paesi: la Slovenia, la Croazia e l’Italia, impiombata da un debito che continua a salire, una crescita piatta, una competitività ridotta. Dunque, l’Italia ha bisogno di “un’azione urgente e decisa”. La commissione di Bruxelles ha emesso la sua sentenza che non suona certo incoraggiante per il governo Renzi.



Il messaggio è chiaro: se l’Italia vorrà godere di maggiore flessibilità nella riduzione del debito pubblico (di un ventesimo all’anno dal 2016 in poi, secondo le regole del nuovo patto di bilancio) dovrà prima adottare le misure economiche chieste dalla Commissione. Nel considerare l’economia italiana oggetto di uno squilibrio eccessivo, l’esecutivo comunitario si prepara a chiedere riforme specifiche per risolvere la grave situazione. Nel caso in cui il Paese non rispettasse i suggerimenti, vi potrebbero allora essere sanzioni pari allo 0,1% del Prodotto interno lordo. I margini per una trattativa oggi sono ridotti al minimo, forse a zero.



Faremo tutto e tutto per bene, ha replicato il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan: “L’esecutivo intende dare una svolta al processo di riforma per garantire una crescita forte, sostenibile e ricca di posti di lavoro”, scrive un comunicato. La competitività, “è limitata dall’elevato cuneo fiscale sul costo del lavoro, un problema che il governo s’accinge ad affrontare con determinazione”. Quanto al debito pubblico in relazione al Pil, “deriva prevalentemente dalla crescita modesta negli anni precedenti la crisi e dalla profondità della recessione che si è accompagnata a una crescita insoddisfacente della produttività”. Il ministro sottolinea anche, tra i fattori che hanno peggiorato l’indebitamento, il contributo italiano ai meccanismi europei di protezione e il pagamento dei debiti pregressi (che però per l’Ue non è ancora sufficiente). Ma in sostanza Padoan mostra di condividere l’analisi di Olli Rehn e promette interventi decisi e rapidi. Quanto rapidi e quanto decisi?



Matteo Renzi ieri ha detto che la prossima settimana verrà presentato il Jobs Act e ha promesso 2 miliardi per l’edilizia scolastica. La riforma del mercato del lavoro è una di quelle che l’Ue ritiene fondamentale, ma costa, tanto più se si accontentano sindacati e Confindustria che vogliono conservare la cassa integrazione in deroga. In altri termini, se si deve introdurre un assegno di disoccupazione decente e universale in cambio di una maggiore libertà di licenziamento e mantenere anche la cassa integrazione, bisogna spendere molti miliardi che oggi non ci sono. E dove trovare i soldi per le scuole? Finora Renzi promette spese senza indicare come finanziarle. Siamo alle solite?

Non è a costo zero nemmeno la riduzione del cuneo fiscale che per il governo è la chiave per aprire la porta ora sbarrata della produttività e della crescita. Non si sa ancora come verrà realizzata, se con la fiscalizzazione pura e semplice degli oneri sociali o con una riduzione dell’Irap come chiede la Confindustria, ma in ogni caso non può essere finanziata in deficit, occorrono coperture che oggi non ci sono. Si è evocata la spending review. Ma è come l’araba fenice. Il commissario straordinario Carlo Cottarelli avrebbe dovuto presentare a fine febbraio i risultati dell’analisi compiuta dai gruppi di lavoro. Ma non se ne sa nulla, a meno che il ministro non tenga sulla scrivania di Quintino Sella una cartellina segreta (alla faccia della trasparenza).

In ogni caso, Padoan, al quale non manca il realismo e la concretezza di chi è abituato a macinare numeri, ha già gettato acqua sul fuoco: ammesso che si riesca alla fine dei tre anni a tagliare 32 miliardi, pari a due punti di prodotto lordo, in questo 2014 non c’è da aspettarsi molto. Certo non abbastanza per coprire i costi delle riforme, a cominciare dalle prime due, quella fiscale e quella del lavoro. Dunque, bisogna mettere mano alle forbici, o forse all’accetta, altrimenti le raccomandazioni dell’Ue diventeranno una reprimenda e poi una pesante sanzione.

Un’altra cosa certa è che non ci sono margini per investimenti pubblici in disavanzo. E questo è il primo effetto concreto della sentenza di Bruxelles. Dunque, dovremo dimenticare anche quel contributo (per quanto piccolo) alla crescita. Rehn non ci fa sconti, né ci dà una mano. Del resto, non c’era da aspettarselo. Ciò impone al governo un’urgenza ben maggiore di quella del piè veloce Renzi e forse persino un cambio delle priorità. In altri termini, la riforma del lavoro sembra di lenta e complessa realizzazione, anche perché il ministro Poletti ha cominciato il solito giro di incontri con le parti destinate a mettere altri bastoni tra le ruote.

Alla luce delle richieste europee e della risposta di Padoan, al primo posto va messo il taglio al cuneo fiscale. È questo che dovrebbe vedere la luce al più presto. Molti dubbi sono stati sollevati sulla sua vera efficacia e sono state condotte simulazioni non incoraggianti, ma in ogni caso viene considerato un intervento immediato per rispondere a una congiuntura che non migliora. La produzione industriale è ancora negativa e lo si vede dai pessimi risultati della produzione elettrica in questi mesi. Dunque, bisogna dare una spinta subito che non viene dal Jobs Act, il quale richiederà tempo, anche nel migliore dei casi.

Com’era prevedibile, Bruxelles ha riscritto le priorità della Renzinomics (per quel che se ne può capire), secondo i dettami della Padoanomics (che invece si conosce bene anche dalle analisi condotte all’Ocse). Siamo già davanti al dualismo che si è verificato più volte in questi anni (con Berlusconi e Tremonti, o con Letta e Saccomanni)? Chi ha a cuore le sorti del governo e ancor più quelle della ripresa economica italiana deve augurarsi che sia solo un’impressione superficiale. Ma, onde fugare ogni cattivo pensiero, è bene che si riunisca un consiglio dei ministri per fornire un quadro chiaro delle priorità e delle decisioni di politica economica, nutrito di cifre e non solo di parole.

Prima avviene meglio è. Vista la lavata di capo di Rehn, non dovrebbero passare giorni, ma ore.