“Dobbiamo aggredire le cause di fondo della debole competitività delle imprese: quindi al primo punto c’è la questione dell’eccessivo cuneo fiscale che pesa su salari e costo del lavoro”. Sono le parole di Pier Carlo Padoan nella sua prima intervista rilasciata da ministro dell’Economia. Per l’ex vice segretario dell’Ocse, “sarebbe utile concentrare tutto l’intervento in una direzione: tutto sulle imprese, e quindi Irap e oneri sociali, oppure tutto sui lavoratori, attraverso l’Irpef”. Intanto Palazzo Chigi fa sapere che non ci sarà alcuna manovra correttiva dopo le osservazioni arrivate dalla Commissione europea.
Professor Forte, ritiene che ci sarà una manovra correttiva?
Non c’è bisogno di una manovra correttiva in quanto è già in atto. Ci sono due regole che entreranno in campo automaticamente. Quest’anno il tetto della Tasi è stato ampliato, e l’anno prossimo non ci sarà più, e come conseguenza la tassa sui servizi indivisibili aumenterà. Lo stesso vale per la Tarsu, in quanto i Comuni devono andare al pareggio di bilancio. L’effetto congiunto di queste due operazioni è che ci sarà un aumento delle entrate degli enti locali, che corrisponderà a minori trasferimenti da parte dello Stato, in quanto è da escludere un incremento della spesa dei Comuni. Per il resto non ci sarà bisogno di una manovra correttiva, anche perché è probabile che uno dei mezzi per trovare nuove risorse sarà quello di ridurre gli esoneri fiscali. La spending review comporterà una riduzione delle spese fiscali, con un aumento delle entrate determinato non da un aumento delle aliquote, ma da una riduzione delle detrazioni.
Condivide le priorità individuate dal ministro Padoan?
La vera priorità è la riforma del mercato del lavoro, che può essere stimolata e agevolata dalla riduzione del cuneo fiscale. In questo modo si dà alle imprese la possibilità di incentivare dei nuovi contratti di lavoro orientati alla produttività. La questione fondamentale è introdurre dei contratti aziendali, mentre il Jobs Act toglie semplicemente alcuni vincoli ai contratti unici nazionali, ma rinuncia a puntare sul contratto locale flessibile.
Quindi è giusto tagliare il cuneo fiscale ma occorre intervenire anche sui contratti?
La prima riforma da attuare è quella del mercato del lavoro, e in aggiunta si può fare quella del cuneo fiscale che è secondaria. La Germania riformando il mercato del lavoro è diventata competitiva, l’Italia invece non lo ha fatto e la sua produttività è scesa di continuo. Se il governo seguirà l’impostazione di Padoan ritorneremo al vecchio concetto assistenzialista in base a cui Confindustria e Cgil chiedono allo Stato di compiere quanto invece spetterebbe loro.
Padoan nel frattempo sta pensando a un aumento delle tasse?
Questo non emerge dall’intervista, il vero problema è un altro. Il ministro ha ipotizzato una riduzione delle tasse solo per le fasce meno abbienti dei lavoratori dipendenti. È una scelta che non ha senso innanzitutto da un punto di vista dell’equità della sinistra tradizionale, in quanto esistono milioni di persone a basso reddito che sono pensionati o lavoratori autonomi. Poiché non sono lavoratori dipendenti, né gli uni né gli altri agli occhi del ministro Padoan avrebbero diritto a essere aiutati e ciò rappresenta una scelta aberrante anche solo sul piano della giustizia sociale, che la nostra sinistra dimostra di non conoscere né rispettare.
Dare più soldi ai dipendenti meno abbienti può comunque rilanciare l’economia?
Anche da questo punto di vista si tratterebbe di un errore. Le imprese stanno delocalizzando all’estero i dipendenti qualificati con i redditi più alti, mentre le mansioni a basso lavoro aggiunto come le badanti continuano a essere svolte come prima da extracomunitari o da italiani poveri. Le tasse andrebbero quindi ridotte anche ai lavoratori a reddito più alto, e il modo più semplice per farlo è diminuire il cuneo fiscale alle imprese le quali poi gestiranno questa riduzione.
Può spiegare meglio in che modo si dovrebbe intervenire?
Il ministro Padoan si trova al bivio. Da un lato può intervenire riducendo il cuneo fiscale per tutte le imprese, ma soltanto dopo avere attuato la riforma del lavoro. Dall’altra può accettare di subire le pressioni della Cgil, riducendo soltanto le imposte per i bassi redditi da lavoro dipendente. Si tratta di un’alternativa tutta politica tra la scelta della produttività e quella di compiacere le lobby tradizionali all’interno del Pd.
Renzi riuscirà a sfidare queste lobby?
La vera rivoluzione avverrebbe se Renzi decidesse di rottamare i contratti nazionali di lavoro o magari, come sarebbe auspicabile, la Fiom. Ciò di cui c’è bisogno non è un sindacato che fa politica, ma che sta nelle imprese per fare i contratti aziendali. I sindacati nella storia italiana sono diventati soggetti politici attraverso la lotta di classe comunista che mirava alla presa del potere e all’egemonia gramsciana. Se Renzi è un vero innovatore è su questo che deve voltare pagina.
(Pietro Vernizzi)