E così siamo arrivati all’ennesimo capitolo del thrilling Alitalia, che sembrava dover finire con l’annuncio dell’accordo che consente la sempre prevista (da questo giornale) entrata del vettore arabo Etihad. Saranno sicuramente problemi inerenti alle cifre dell’attuale bilancio di Cai a provocare il ritardo, certo è che quella che si avverte è un’aria di compromesso che avvolgerà la soluzione della problematica.
Perché, parliamoci chiaro, credo che il piano di Etihad su Alitalia prevedesse ben altre conclusioni, ma si ha la sensazione che il vero ostacolo alle sue mire espansionistiche arrivi da una Air France che, benché ormai fuori dai giochi sulla governance della ex-compagnia di bandiera italiana, ha dalla sua una carta molto potente: quella dell’alleanza Skyteam della quale Alitalia fa parte e che è stata a suo tempo creata dal vettore francese (o franco-olandese, se vogliamo essere precisi e credere che Air France-Klm sia un binomio reale).
Perché è chiaro che se per Etihad Alitalia rappresenta una fortissima, anzi vitale, opportunità di inserirsi prepotentemente non solo nel ricco mercato europeo ma sopratutto in quello Mediterraneo (i classici due piccioni con una fava), prima che Turkish ne diventi il vettore di riferimento, per Air France trovarsi una compagnia aerea che da vettore decotto si trasforma in un pericolosissimo concorrente globale, oltretutto con i ricchi capitali degli Emirati, è sicuramente un piatto indigesto.
E allora ecco il compromesso che, se da un lato permette l’entrata della compagnia araba , dall’altro mantiene sostanzialmente Alitalia nella sua dimensione, anzi la rimpicciolisce perché verrà sicuramente ridotta la flotta di medio raggio e non sarà così epocale il cambio di rotta che all’inizio prevedeva l’acquisizione di 50 nuove macchine di lungo raggio nell’arco di tre anni.
Un’entrata quindi a piccoli passi, dilatata nel tempo e, a riprova che l’influenza francese su quello che rimane della gloriosa Alitalia sia notevole, con la permanenza alla presidenza di Colaninno, cioè la persona più incline all’entrata dei transalpini in Alitalia: come sappiamo l’industriale mantovano in un primo momento, quando le voci su Etihad si iniziavano a concretizzare, aveva espresso la volontà di uscire da quella che era stata una sua creazione. Purtroppo riuscita male, visto che nell’arco di pochissimo lo spettro del fallimento si sta trasformando in una spiacevole realtà per un’operazione iniziata nel 2008 senza un euro di perdite, peraltro messe a carico di uno Stato che ha ampiamente fatto tutto il contrario di un sistema Paese in un’Italia che, dopo la dipartita di Fiat, non ha più tanto di cui essere orgogliosa, pur se la storia del marchio ex-torinese è costellata di parecchie zone scure.
Ed è veramente triste vedere che lo smantellamento delle imprese riguarda sopratutto quella che dovrebbe essere la componente centrale di un sistema industriale: l’uomo con le sue conoscenze. La continua fuga di cervelli nostrani verso altri paesi è la dimostrazione che ci sono nazioni nelle quali il lavoratore viene considerato una risorsa. Dal 2008 in Alitalia (e in Italia, visto che la questione è stata il battistrada di una “riforma” che ha falcidiato l’intero mondo del lavoro) non lo è più. E le ulteriori cospicue riduzioni di personale che sono l’unica cosa sicura in questo ennesimo piano “di salvataggio “ lo dimostrano.
Con buona pace di coloro che hanno sempre sostenuto la teoria di un sistema economico in grado di regolarsi da solo.