È terminata ieri la “sessione primaverile” (in gergo giornalistico Spring Meeting) di due degli organi di governo delle istituzioni finanziarie internazionali create nel 1944 a Bretton Woods: il Comitato per le questioni finanziarie e monetarie del Fondo monetario internazionale e il Comitato per lo sviluppo della Banca mondiale. Sono circa trent’anni che lo Spring Meeting si tiene a Washington, come strumento di governo delle due istituzioni necessario per fare il punto, tra un’assemblea e l’altra – tradizionalmente in settembre e ogni tre anni in una città differente dalla capitale Usa.
Sotto il profilo formale, lo Spring Meeting ha avuto luogo nella giornata di domenica, mentre nei giorni precedenti si sono avute riunioni preparatorie (G7, G20 e quant’altro). Sulla stampa soprattutto italiana è invalsa la prassi di porre i riflettori più sulle riunioni preparatorie (e sul rapporto sull’economia internazionale pubblicato dal Fmi alcuni giorni prima che abbia inizio la tornata), anche perché spesso i ministri italiani partecipano unicamente alle “preparatorie” con quelle che un tempo venivano chiamate “le grandi potenze” e tornano frettolosamente a Roma, lasciando, però, a Washington una vasta delegazione.
Per questo motivo, l’accento sulle corrispondenze da Washington è sulle stime di bassa crescita dell’Italia per il prossimo futuro, sulla soddisfazione mostrata dai nostri partner per le riforme “promesse” unitamente alle cautele relative alle loro effettive probabilità di realizzazione; ovviamente, non si è entrati nel merito di dette riforme, ma da anni da Washington l’Italia è vista come un Paese immobile e la cui mancanza di nerbo nell’affrontare i nodi strutturali è la determinante principale della bassa crescita. Inoltre, la stampa ha dato molta enfasi alle promesse della Banca centrale europea (Bce) non solo di non fare mancare liquidità all’Europa ma anche di agire contro un euro giudicato troppo “forte”. Infine, gli Usa sono stati messi sotto accusa, su alcune testate i cui corrispondenti hanno seguito tutto lo Spring Meeting, in quanto ostacolerebbero la riforma del Fmi.
Credo che i nostri lettori meritino un bilancio più equilibrato. In primo luogo, il “caso Italia” è stato trattato quasi esclusivamente dagli italiani nelle conferenze stampa per i giornalisti italiani. Si sapeva da settimane che secondo le stime Fmi l’Italia appare, nel breve periodo, come il fanalino di coda dell’eurozona, che c’è un nuovo Governo il quale si è impegnato a un drastico programma di riforme (i cui contenuti, peraltro, sono all’estero ancora meno chiari che in Patria) e (prima di emettere giudizi) si attende di vedere cosa il Parlamento vorrà e potrà legiferare.
In secondo luogo, l’aspetto più importante di questa sessione è stata l’attenzione sui problemi occupazionali discussi in un documento predisposto all’uopo dall’Organizzazione internazionale del lavoro. Il documento contiene stime terrificanti della disoccupazione di massa che si sta delineando non solamente nella stagnante Europa ma anche nei Paesi emergenti ad alto tasso di crescita economica. L’aspetto chiave è l’analisi: dato che pure dove il Pil avanza a ritmo sostenuto, a ragione della trasformazione tecnologica, le masse, soprattutto le nuove generazioni, hanno difficoltà crescenti a trovare un impiego, ci si chiede se il modo consueto di concepire i rapporti di lavoro non debba essere ripensato.
Non è una novità per i documenti dell’Oil dare risalto al ruolo dell’economia sociale e del Terzo settore. È, però, una novità che questo tema sia stato elemento centrale della sessione del G20 tenuta l’11 aprile e che sia stato ripreso il 13 aprile nella sessione plenaria. Sono accenti a cui il Governo italiano, alle prese con spaventosi problemi occupazionali, dovrebbe dare ascolto. E anche i media dovrebbero fare la loro parte.
In terzo luogo, la riforma Fmi. Il Fondo avrebbe la potenzialità di raddoppiare la propria capacità di finanziamenti, ma ciò richiede un aumento di capitale. Lo impedirebbe l’avarizia del maggior azionista, l’Ugly American (l’americano “brutto e cattivo”), che controlla lo studio ovale della Casa Bianca e soprattutto il Congresso. Questa “vulgata”, che ha avuto ampio spazio sui quotidiani italiani, è fuorviante. Il vero nodo è l’eurozona che insiste per avere, nel Consiglio d’Amministrazione Fmi, cinque seggi su ventiquattro e i cui titolari non si coordinano né nelle delibere specifiche, né su questioni generali, come l’azionariato e la rappresentanza negli organi di governo dell’istituzione.