Mancano 45 giorni alle elezioni europee. Fumose sono le chiacchiere retoriche dei politici e stucchevoli le pubblicità istituzionali in stile sovietico. I sondaggi continuano a confermare che circa il 50% degli aventi diritto al voto si asterrà bocciando senza appello l’Unione europea. Le solite stanche liste di candidati riciclati si ripresentano. In Italia, le cinque “statuine” femminili (due lettiane, una renziana, una veltroniana, e una bersaniana) imposte da Renzi come capoliste del Pd faticano a nascondere il vecchiume restante nelle liste. Finora nulla si è sentito dire dai partiti e dai candidati europei in merito a un programma politico per reinventare la passione per una nuova Europa.



Per carità, Renzi ha presentato le sue “statuine” dicendo che “le regole europee si rispettano per poi cambiarle”. Insomma, il toscano ha ammesso di aver preso in giro sia la teutonica Merkel, sia le figure magrittiane che rappresentano l’Ue. Non c’è che dire, Renzi è un giovane assai fortunato perché la Merkel forse reagirà solo dopo il 25 maggio, il presidente della Commissione europea Barroso è in scadenza e il suo successore sarà nominato dai governi a giugno, e il fastidioso ex sindaco finnico e commissario europeo agli affari economici, Olli Rehn, è in congedo elettorale in quanto è candidato (sicuro di vincere) alle elezioni europee.



A sostituirlo è l’opaco estone commissario ai trasporti, Siim Kallas, che non avrà la forza di opporsi alle richieste francesi di rinvio sul debito. Tutto si giocherà in sede di Eurogruppo, quindi tra governi e con buona pace della Commissione. Visto che la Spagna ha già ottenuto un rinvio è credibile che anche la Francia lo otterrà. E allora, come negarlo all’Italia che oltretutto è tra i pochissimi paesi a rispettare la regola del deficit (sono 4 contro 14 sotto procedura)?

Se il gioco degli inganni ha partita relativamente facile con degli esausti eurocrati, lo stesso non vale per le partite vere che sono tutte aperte a livello sistemico e strategico mondiale. Su queste questioni il tomboliere fiorentino e la sua dolce ministra degli Esteri tacciono. I problemi che restano sul tavolo sono gravi e pericolosi. Cerchiamo di capire che cosa ci aspetta. Iniziamo dai problemi che all’apparenza sembrano risolti, in materia economica e finanziaria.



La crisi bancaria non se ne è andata, anzi, come ci dimostra l’Austria in questi giorni (i debiti bancari equivalgono a tre volte il Pil), si riprende appena può. L’Unione bancaria non è decollata, anzi se ne è fatto un mediocre pasticcio che, ben lontano dalla corrispondente americana Federal Deposit Insurance Corporation, non salverà le banche e i correntisti, ma prevalentemente i detentori di titoli che in maggioranza sono banche e fondi vari. Su queste questioni, gli strombazzati stress test bancari (in corso) si sono rivelati un grave imbarazzo anche per la Germania, dove le autorità locali nascondevano tutto.

Le operazioni declaratorie di Draghi hanno ridotto la pressione speculativa sui titoli pubblici (gli spread) principalmente perché la rinnovata bolla borsistica Usa ha prodotto un eccesso di liquidità che cerca collocamenti ovunque. Ma anche la Bce di Draghi non ha prospettiva per risolvere il problema bancario europeo che può essere affrontato solo nazionalizzando le banche più esposte e mettendo l’intero settore sotto controllo svuotandolo dei titoli marci. Le vicende del Monte Paschi di Siena sono istruttive per come furono nascosti dai bilanci i contratti sui derivati.

Il debito pubblico non fa che aumentare. Nel caso austriaco aumenta esattamente come aumentò in Irlanda e in Spagna quando lo Stato si accollò il fardello dei fallimenti bancari. Ma sta aumentando anche per via dell’austerità, come dimostra la situazione italiana e spagnola. Fallite le teorie sulla “austerità espansiva” (Alesina & Giavazzi) restano gli strumenti spuntati, e per questo solo declaratori, della Bce che non potrà intervenire concretamente fino a che non ci sarà una vera fiscalità europea accompagnata da un vero Tesoro europeo che permetterà la gestione comune dei debiti.

Nel 2015 si vedranno gli effetti di queste non decisioni, particolarmente perché nessun Paese può attuare il Fiscal compact, neanche la Germania il cui debito è di circa il 90% del Pil, senza tentare forti manovre restrittive. Per l’Italia e la Spagna dovranno essere mostruose e il debito aumenterà!

In sintesi: (a) il sistema bancario più avvelenato – che si trova nelle zone francogermaniche (Francia, Germania, Belgio, Austria) – non può essere disinfettato dalla sua tossicità; (b) il debito pubblico grava sui paesi perché non ci sono meccanismi che ne garantiscano il finanziamento, ma solo espedienti e situazioni fortuite.

Quindi qual è la soluzione? I cantori spinelliani dell’europeismo ci dicono “più Europa”. Allora si va verso un’Europa federale? No. Le difficoltà sono insormontabili, anche ipotizzando che la ragione vinca sugli interessi specifici e che si voglia decidere di avere un vero Parlamento europeo che elegga un vero Governo federale europeo. Come ha fatto notare l’economista francese Jacques Sapir, il non detto dell’illusione federalista sta nell’enormità dei trasferimenti interni, verso Sud e verso Est, che essa inevitabilmente comporterebbe. Poi arrivano gli “abbattitori del sistema”, quelli che gridano “usciamo dall’euro”. Anche in questo caso, la risposta è no. Poiché dall’euro non si può realisticamente uscire – principalmente per motivi giuridici – ci si deve abituare all’Europa che c’è e non a quella immaginifica.

La trappola ce la siamo costruiti (quasi) da soli e su misura della nostra insipiente incapacità. Adesso non possiamo fare altro che pagarne le spese. Le grandi potenze mondiali – Usa, Russia e Cina, e qualche altra – hanno capito benissimo che l’Ue e i suoi statarelli ex potenze coloniali sono incapaci di risolvere il problema da soli. Quindi, con un pragmatismo cinico, le tre potenze mondiali stanno giocando una partita per ridisegnare la mappa delle influenze interconnesse planetarie. Il “premio” è proprio l’Unione europea.