«Tanto nelle imprese pubbliche quanto in politica, Renzi è ben lontano dall’aver individuato i criteri giusti per le nomine: basti pensare al modo in cui ha scelto i ministri del suo governo». Lo evidenzia Francesco Forte, ex ministro delle Finanze, che in passato si è trovato a dover decidere le nomine per le società partecipate dal Tesoro proprio come ha fatto ora Renzi. Il Premier ha portato un po’ di novità, con la scelta di Emma Marcegaglia, Luisa Todini e Patrizia Grieco per la presidenza rispettivamente di Enel, Poste ed Eni. Per le Ferrovie ancora non si sa chi sostituirà Mauro Moretti, passato ora a Finmeccanica, dove Gianni De Gennaro mantiene la presidenza. Il posto di Paolo Scaroni in Eni è stato preso da Claudio Descalzi, mentre Francesco Caio subentra a Massimo Sarmi alle Poste. Per quanto riguarda Terna, la presidenza è andata a un’altra donna, Catia Bastioli, mentre è stata rinviata la scelta dell’amministratore delegato.



Professor Forte, secondo lei quali dovrebbero essere i criteri giusti per stabilire i manager delle società partecipate?

Dal punto di vista del metodo avrei stabilito due principi basati sulla mia esperienza e su una concezione dell’economia di mercato della gestione delle imprese pubbliche e di pubblici servizi. Il primo criterio consiste nel basarsi il più possibile su delle nomine interne, soprattutto per i grandi gruppi, perché conoscere i grandi gruppi non è una cosa che si improvvisa. La mobilità dei manager di alto livello ha pochissimo senso e se si spostano persone di alto livello da un grande gruppo all’altro e da un settore all’altro, si finisce per avere solo una concezione astratta di contabilità e di gestione politica dell’impresa, e non una gestione manageriale.



Il secondo criterio qual è?

Il secondo criterio che vorrei utilizzare è quello della concezione e della cultura specifica della persona. Non è indifferente la formazione che si esprime con il tipo di laurea e con l’esperienza professionale, ma anche con le doti innate della persona. Per esempio, abbiamo ingegneri con capacità manageriali e laureati in economia che ne sono privi.

Scegliere dei manager giovani può “svecchiare” l’economia?

Non condivido questo approccio. In realtà, i due criteri che ho indicato prima portano a considerare persone con un’età media piuttosto alta. Se si richiedono persone che abbiano una competenza, ciò richiede sempre anni di esperienza. Quanto all’aspetto delle qualità strategiche e gestionali, si accerta sulla base dei risultati in precedenti attività. I criteri scelti dal governo Renzi forse per caso possono portare a scelte giuste, ma non posso certo dire di condividere il metodo.



 

In particolare, che cosa non condivide?

Soprattutto il metodo della rotazione. Non sostengo che un manager debba rimanere per tutta la vita nella stessa impresa. Ma per fare un esempio storico, a qualcuno verrebbe in mente che, se non fosse morto con l’aereo a Bascapé, conveniva sottoporre Enrico Mattei a rotazione? Lo stesso si può dire per chi avesse proposto di trasferire Enrico Cuccia, che tra l’altro rappresenta un caso limite di una persona particolarmente anziana. In altri casi questa idea dell’età minore evidentemente non avrebbe funzionato.

 

L’altro criterio usato da Renzi è quello della retribuzione con un tetto. Lei che cosa ne pensa?

Anche in questo caso devo dire di non condividere la scelta adottata, perché il più delle volte non stiamo parlando di un reddito fisso, bensì di un bonus collegato ai risultati. Ciò vale in particolare attraverso azioni proprie dell’impresa, in modo da incentivare il manager a fare bene. Renzi è ben lontano dell’aver scelto i criteri giusti, sia nelle imprese pubbliche sia nella politica: basti pensare ai ministri che si è scelto per il suo governo.

 

(Pietro Vernizzi)