Frau Merkel l’11 aprile ha effettuato il secondo Blitzbesuch in Grecia. Anche questa volta si è fermata poche ore, sette ore . Ma questa breve visita non è stata priva di significato. Ha dichiarato di essere felice di ciò che Antonis Samaràs, segretario di Nuova Democrazia, ha esclamato abbracciandola: “Ringrazio il popolo tedesco per la sua solidarietà!”. La Merkel, da parte sua, si è lanciata in una comparazione storiografica che sicuramente rimarrà negli annali della disinformazione e della menzogna. Ha comparato i cinque anni di crisi attraversati dalla Grecia al periodo della riunificazione tedesca. Tra le altre incredibili affermazioni mi ha impressionato questa: “Molte professioni che apparivano indispensabili nella Germania Est sono divenute con la riunificazione assolutamente obsolete e inutili e molta gente ha molto sofferto di ciò”.



Mi si dice che il pubblico era stupefatto, incredulo, soprattutto perché questa scena metafisica, che pareva avvenisse sull’Acropoli, si svolgeva invece in una città dove il 10 aprile un’autobomba era esplosa davanti alla Banca centrale greca e settemila poliziotti, ben piantati sui margini delle strade, hanno fatto da scenario alle auto della Cancelliera dall’aeroporto al centro della capitale. Il traffico ad Atene, del resto, era stato proibito ed essa sembrava una città morta.



Ben lontane dal perimetro di sicurezza si svolgevano le manifestazioni di Syriza e dei sindacati. Ma nessun’eco è giunta a Frau Merkel e l’amante di Wagner e dei wurstel nulla ha udito di questi sussurri e grida della sofferenza. Il tutto, del resto, ha dello scenario wagneriano. L’oro del Reno esiste, certamente, e sono i titoli di stato che Wotan e i suoi compagni vogliono acquistare. Ma a quale prezzo li acquistano! Padri e figlie si immolano vicendevolmente e l’intera Terra sembra tremare per malefici incantesimi.

Di questo dramma wagneriano, in versione più anarchica e meno ordinata – perché da noi i partiti non esistono più, a differenza che nella Grecia, e i sindacati sono troppo impegnati a polemizzare tra loro invece che mobilitare la povera gente -, anche noi abbiamo avuto la nostra versione, ma è un dramma alla Mascagni. Con dei copioni che si ripetono: manipoli sia di provocatori, sia di convinti idealisti che mettono a ferro e fuoco le piazze. E a farne le spese sono i poveretti che, dilaniati dalla fame, cercano di far qualche soldo vendendo panini a questi manifestanti, raccogliendo impudentemente petardi che questi gentiluomini dell’opposizione scagliano contro le forze dell’ordine.



Wagner o Mascagni, sono terribili fenomeni che stan crescendo. Una mostruosa metafisica che osanna di nuovo la crescita finanziaria e dimentica che la disoccupazione tocca livelli del 30%, 50%, 60% a seconda delle fasce di età che si prendono in esame. L’altra questione non è una metafisica, ma una realtà. In Italia, dove non esistono più partiti ma solo leader e dove i sindacati parlano di tasse anziché di salari, la protesta non sarà più collettiva, ossia ordinata, ma atomizzata, e peristaltica, solitaria e anomica, dove uomini soli camminano con bombe a mano in tasca e gruppi armati di militanti che la polizia dovrebbe conoscere uno per uno attaccheranno le sedi di quello che una volta si chiamava il potere delle multinazionali (Br) e oggi si chiama potere della casta (Stella e Rizzo e Gabanelli).

Dinanzi a tutto ciò fa impressione leggere la Frankfurter Allgemeine Zeitung, dove in terza pagina troneggia un gran ritratto politico-biografico di Schäuble, dal titolo ”Schäuble oder die große Null”, ovvero Schäuble e il grande zero. Il titolo è tutto un programma: Schäuble non si muove, sta seduto sul suo surplus commerciale e sulla distruzione del modello sociale europeo, che la sua ostinazione provoca volendo imporre agli altri paesi ciò che la Germania – ancora per poco, però – può fare. Appunto lo zero di deficit annuale.

Dinanzi a questo scenario tra Wagner e Mascagni, si inserisce la nostra costernazione dinanzi all’indecisione di un caro amico, Mario Draghi, che sicuramente deve essere sprofondato nell’insicurezza generata dalla paura. Forse Draghi dovrebbe dimettersi. Ogni volta che annuncia un provvedimento che cerca di aggirare i limiti statutari della Bce incoraggia l’oligopolio finanziario e lo stordisce fino a passare – pensate un po’! – per un salvatore dell’euro. E in questi giorni dovrebbe avere meno paura, se anche il giovane Holden di Solingen, quel Jens Weidmann, Presidente della Bundesbank, aveva di fatto approvato i suoi provvedimenti così bene annunciati, anche se, come avevo già spiegato, irti di flagranti contraddizioni piene di rischiose conseguenze, non solo finanziarie.

Insomma, da un lato c’è Wagner, dall’altro c’è Mascagni. Ma Mario Draghi chi è? Io una metafora ce la avrei, ma non mi azzardo a dirla perché, nonostante tutto, ripeto, nonostante tutto, è uomo dei miei amati nordamericani e soprattutto allievo di Federico Caffè, nonostante tutto, nonostante tutto, nonostante tutto. Questo personaggio in cerca d’autore, il suo autore deve trovarlo e non deve incantarci chiamando bassa inflazione la deflazione. La prateria è surriscaldata dall’aridità che, non a caso, nella nostra lingua, fa assonanza con la finanziaria avidità. E se le praterie sono aride e secche, basta un nulla per farle incendiare.

Mario Draghi deve dunque agire e presto, se non vuole fare la fine di quei politici che predicano e parlano e non agiscono. Con tutte le conseguenze del caso.