Siamo al caos. Alitalia ed Etihad sembrano allontanarsi. Le anticipazioni de Il Messaggero dimostrano che la compagnia medio-orientale non sta alle condizioni che vogliono dettare le banche. E, come dicevamo da tempo, Etihad ha il coltello dalla parte del manico. In questa complicata partita a scacchi, vi sono fortissime resistenze da parte delle banche ad accettare il piano “lacrime e sangue” per i creditori. È vero che vi sono anche i punti sindacali riguardanti gli esuberi e la liberalizzazione degli slot di Linate, ma il problema principale, come ha affermato spesso anche l’economista Mario Seminerio, rimane il debito in capo alle banche.
Alitalia ha perso ormai il suo valore, anche dopo la ricapitalizzazione con i soldi pubblici di Poste. La compagnia ha bruciato molto presumibilmente la liquidità e si trova adesso in forte difficoltà. Tuttavia il problema alla base è quello della forte esposizione verso il sistema bancario, almeno un miliardo di euro, che deve in qualche modo essere ridotta, secondo la compagnia araba. Le banche tuttavia fanno una forte resistenza perché perdere 400 milioni di euro (questa è la cifra di cui si parla insistentemente) non è sicuramente un bel colpo.
Tuttavia dall’altro lato il Governo ha fatto di tutto, e anche troppo (l’intervento di Poste), per avvicinare la compagnia a Etihad. Il Ministro Lupi si è speso personalmente per ottenere la liberalizzazione degli slot di Linate e al contempo i sindacati sono stati tenuti sotto controllo. Molto probabilmente la quiete sindacale deriva da qualche promessa governativa di “scivoli” vantaggiosi in caso di esuberi. Degli scivoli che tuttavia, ancora una volta, costeranno caro agli italiani, che hanno già dovuto spendere centinaia di milioni di euro per pagare la cassa integrazione speciale nel 2008 per la vecchia Alitalia. Vi è dunque un problema di equità e di “spending review” in questa azione possibile del Governo. Non è equo favorire solo una categoria (i dipendenti Alitalia) e non è facile giustificare la spesa di qualche centinaia di milioni di euro per favorire un accordo tra attori privati.
Per quanto riguarda l’accordo sugli slot, è indubbio che Malpensa non dipenda da anni da Alitalia (così come il traffico aereo italiano). Non si può certo affermare il contrario, dato che sullo scalo varesino ormai molto meno del 10% del traffico è targato Alitalia. Leader a Malpensa è invece Easyjet, che non riceve certo sussidi pubblici nell’utilizzo dell’aeroporto, ma semplicemente è molto più efficiente delle compagnie tradizionali, come ha dimostrato il fallimento di Lufthansa Italia qualche anno fa.
Ma cosa può succedere adesso se l’accordo salta definitivamente? Alitalia senza l’accordo con Etihad ha poca strada da fare. La giusta strategia hub and spoke che sta sviluppando su Roma Fiumicino è inapplicabile senza una flotta a lungo raggio. Senza Etihad, Alitalia non ha i mezzi finanziari per potere comprare aeromobili di questa tipologia che, ricordo, costano anche 250 milioni di euro l’uno.
Vi è un ultimo punto non sottolineato da nessuno in questa partita a scacchi che potrebbe essere invece una delle chiavi di volta. Il rapporto tra Etihad, Alitalia e Fiumicino. Questo aeroporto dipende estremamente dal vettore italiano, che fa quasi il 50% del traffico, e un fallimento di Alitalia metterebbe in forte affanno lo scalo romano. Etihad al contempo è interessata a prendersi una quota di Fiumicino (molto profittevole), anche perché il suo business molte volte si sviluppa anche con il controllo dell’aeroporto.
Atlantia, che è anche azionista di Alitalia (ma ha svalutato a zero la sua partecipazione), ha bisogno di Alitalia, ma non vuole certo regalare una partecipazione azionaria agli emiratini. Una questione di prezzo, così come nella battaglia con le banche.