Tranquilli, la crisi è finita e non c’è affatto rischio di deflazione. Lasciate perdere che il debito italiano sia in aumento dal 127% del 2012 al 132,6% del 2013 (dato ufficializzato ieri), sono bazzecole queste. Solo la Grecia ha fatto peggio di noi, ma ci sono segnali rassicuranti, i cosiddetti “green shots”. Lo spread, ad esempio, è degno della Svizzera. E poi prendete il Portogallo, la cui ratio debito/Pil è salita al 129%: ieri Lisbona ha collocato con successo 750 milioni di titoli di Stato a dieci anni, il suo primo collocamento in asta da tre anni a questa parte, cioè dall’inizio del piano di salvataggio. Nel dettaglio, l’agenzia portoghese per il debito ha collocato i titoli a un tasso medio del 3,5752%, ben al di sotto del tasso del 5,112% dei titoli collocati per via sindacato lo scorso febbraio e con bid-to-cover pari a 3,5. Insomma, si compra col badile anche il debito lusitano, come quello greco d’altronde. E gli esperti di Rabobank notano che il costo di finanziamento è sceso notevolmente rispetto al 5,112% visto nel collocamento sindacato dell’11 febbraio.



Per gli strategist, il calo «è sintomatico dell’aumento dell’appetito per il debito di Lisbona registrato nelle ultime settimane. L’asta ben accolta di oggi (ieri, ndr) alimenterà il trend di restringimento dello spread del Paese», prevedono gli esperti, a detta dei quali il differenziale a 10 anni con i Bund «potrebbe scendere sotto i 200 punti base nel breve termine» (attualmente è a 212 punti, ndr). Rendimento, questa è l’unica parola d’ordine: finché i tassi sono a zero e la liquidità fluisce nel sistema finanziario (ma non nell’economia reale), tutti a comprare carta da parati periferica, titoli di Stati con traiettorie di debito insostenibili ma che offrono buoni ritorni. Tanto chi sia ad acquistare lo si sa: un po’ le banche nazionali, un po’ gli hedge funds che subito dopo le aste vendono al parco buoi, intascando un profitto a breve termine.



L’Italia non fa differenza. Nonostante il nostro stock di debito sia ormai ingestibile, ieri il Tesoro ha annunciato che nell’asta di Bot di lunedì prossimo verranno offerti buoni a sei mesi per 7 miliardi di euro, con un’offerta netta ancora negativa (in scadenza ne giungono 8,094 miliardi). Emettere come se non ci fosse un domani, ecco la regola base: finché i rendimenti sono relativamente bassi e si può chiudere il gap di finanziamento senza svenarsi. Il problema è che si continua a ignorare che se non aumenta la crescita, con i prezzi in caduta libera, la traiettoria del debito è destinata sempre e comunque a salire: magari pagheremo interessi più bassi, ma quando entreremo in area 150%, il mercato verrà a chiedere conto, statene certi.



Faccio infatti sommessamente e ossequiosamente notare ai negazionisti della deflazione che la ratio debito/Pil dell’eurozona è salita al 92,6% dal 90,7% dell’anno scorso e dall’87,4% di due anni fa, mentre sempre nella zona euro i prezzi stanno calando da venticinque mesi consecutivi, 25 e questo nonostante un aumento dell’attività economica! Non è rischio deflattivo questo? Non siamo in piena trappola del debito? Magari sbaglio, ma mi pare che di fronte a questi numeri anche uno studente al primo anno di economia sarebbe convinto che qualcosa non va. L’indice “output flash” di Markit a marzo ha toccato quota 54, il livello più alto da tre anni a questa parte: 50 è la quota che divide crescita da contrazione, quindi gli indicatori economici stanno parlando di ripresa, ma i prezzi sono lì inchiodati, con l’indice “input prices”, che traccia i pagamenti ai fornitori, cresciuto solo frazionalmente e per una quota che è la più bassa dal settembre 2011.

Per Chris Williamson, capo economista di Markit, l’errore più grande sarebbe proprio non preoccuparsi delle dinamiche dei prezzi: «È questa la grande minaccia, perché a fronte di una ripresa che sembra finalmente prendere piede in maniera chiara, un ulteriore indebolimento potrebbe innescare pressioni deflazionistiche e obbligare la Bce a intervenire in maniera netta e rapida». Certo, un’espansione economica dello 0,5% non è nulla da festeggiare con i botti, ma certamente è già qualcosa, peccato che potrebbe essere vanificato e in fretta se non si spinge per un po’ di inflazione: siano acquisti obbligazionari pro quota oppure tassi negativi sui depositi poco cambia, occorre fare qualcosa ora prima che il minimo di spinta presente svanisca.

L’8 maggio prossimo, quando si riunirà il Consiglio della Bce, sarà finalmente la volta buona? Ne dubito, purtroppo, ma con l’euro che da luglio 2012 si è apprezzato del 14% sul dollaro e con l’inflazione nell’area euro inchiodata a 0,5%, nei fatti 0,3% depurando il dato dagli aumenti dell’Iva e con l’obiettivo della Bce attorno al 2%, non si può sperare di attivare un ciclo economico virtuoso che sostenga in maniera chiara la crescita. È questo il grande inganno e il motivo per cui le ratio debito/Pil dei Paesi continuano a crescere e non la smetteranno: non c’è crescita e la poca che c’è non è supportata adeguatamente, non c’è inflazione e non c’è nemmeno l’ipotesi di un intervento di stimolo su cui i mercati possano contare veramente, fatti salvi i rimbalzi da gatto morto delle Borse quando Mario Draghi dà fiato alle sue mensili minacce.

Attenzione, perché finora la tregua regge sul mercato obbligazionario sovrano ma potrebbe finire prima del previsto se queste dinamiche non dovessero conoscere segnali netti di inversione: il Portogallo che colloca il decennale al 3,57% è solo un’illusione, tanto più che l’avanzo primario lusitano di quest’anno è frutto delle privatizzazioni del 2013, manovre una tantum che vedranno svanire i loro effetti benefici già col prossimo budget. Sbaglierò io, ma o si agisce in fretta o si rischia davvero.