“Assistiamo a un peggioramento delle prospettive di inflazione nel medio termine, che richiederebbero un più ampio programma di acquisti di attività. Il Consiglio direttivo si impegna, unanimemente, a utilizzare strumenti sia non convenzionali che convenzionali per affrontare con efficacia i rischi connessi a un periodo troppo prolungato di bassa inflazione”. Lo ha annunciato il presidente della Bce, Mario Draghi, nel momento in cui l’inflazione europea ha toccato quota 0,5%. Un livello decisamente basso, se si pensa che il mandato della Banca Centrale Europea è fare sì che l’inflazione rimanga di poco sotto al 2%. Come sottolinea Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole-24 Ore, “la bussola della Bce deve essere che tutto ciò che impedisce una trasmissione il più possibile ottimale della politica monetaria è elemento per il quale si può intervenire. In questo senso fa bene Draghi ad annunciare un possibile intervento”.
Quanto dovrà aspettare la Bce prima di intervenire?
Innanzitutto la dichiarazione di Draghi non è del tutto nuova, in quanto si evidenzia la possibilità di ricorrere a tutte le armi della Bce, ad uso bazooka, anche nel caso di deflazione. Anche se la novità consiste nel fatto che Draghi ipotizza la possibilità di acquistare titoli di Stato. Possono esistere diverse valutazioni sulla soglia di deflazione per la quale possono scattare misure di questo genere, soprattutto per un’area come quella europea e in particolare per l’Eurozona dove ci sono situazioni diversificate. La Germania ha sempre vissuto con l’ossessione del rialzo dei prezzi, e non a caso la Bce ha come obiettivo quello di mantenere l’inflazione al di sotto del tetto del 2%. Ora siamo largamente al di sotto con una media Ue allo 0,5% e l’Italia allo 0,4%. Il nostro Paese si trova in una situazione borderline, in quanto al di sotto del livello dello 0,5% ci si avvia a un’ipotesi di deflazione.
Lei ritiene che la Federal Reserve in una situazione analoga sarebbe già intervenuta?
Indubbiamente sì, ma le condizioni di operatività delle banche centrali sono completamente diverse anche dal punto di vista della loro “mission” statutaria e Draghi fa i conti con le condizioni in cui si trova.
Lei quali strumenti ritiene che debbano essere usati dalla Bce?
Nell’arsenale della Bce c’è di tutto, compresa l’ipotesi di cercare di legare i maggiori finanziamenti dei vari sistemi bancari alla possibilità di fare credito alle medie imprese. E’ l’operazione attuata nel Regno Unito, la cui banca centrale è però sottoposta a una legislazione diversa rispetto alla Bce, e che consente di trasmettere la politica monetaria in modo migliore, favorendo le Pmi.
Quali principi dovrebbero ispirare la Bce?
La bussola della Bce deve essere che tutto ciò che impedisce una trasmissione il più possibile ottimale della politica monetaria è elemento per il quale si può intervenire. La crisi dell’euro nel 2008-2009 ha bloccato il tetto interbancario, facendo sì che la trasmissione della politica monetaria europea non funzionasse più. E’ a quel punto che è intervenuta la Bce, e la stessa cosa potrebbe avvenire per la deflazione. Il discorso però in questo caso è molto più complicato, perché tra i livelli d’intervento ci sono ipotesi diverse.
Quali resistenze incontrerà Draghi per realizzare questo intervento?
Esiste una resistenza tedesca di principio, tale per cui fino a quando non riusciremo a convincere la Germania del fatto che ciò non significa poi re-immettere inflazione nel sistema, le mani della Bce continueranno a essere legate.
Le elezioni Ue possono essere l’occasione per riuscire a convincere la Germania?
Le elezioni Ue possono essere l’occasione per un ripensamento dell’intera costruzione Ue e in particolare dell’Eurozona. In qualche modo si ripete lo schema delle prime elezioni Ue del 1979, e può essere quindi una sorta di rifondazione dell’Europa. Il rischio è che ci sia un voto di segno euroscettico, dopo le difficoltà degli ultimi anni. Da questo punto di vista le elezioni Ue sono una scommessa difficile, ma ciò dà anche l’opportunità alla Germania di leggere meglio quanto è avvenuto, e che forse non è nel suo interesse tirare la corda fino a spezzarla.
(Pietro Vernizzi)