“La ragione, forse la più importante, che spiega perché i paesi dell’euro stanno impiegando tanto più tempo degli Stati Uniti a uscire dalla crisi riguarda le banche e, in particolare, la mancanza di credito. Questo è accaduto perché, negli interventi di politica economica successivi alla crisi, abbiamo fatto le cose nell’ordine sbagliato. Abbiamo cercato di ridurre i debiti e i deficit dei conti pubblici, dimenticandoci o quasi delle banche”. Toh, hanno sbagliato. Lo ammette tranquillamente, l’ineffabile duo Alesina-Giavazzi; e dalle colonne de Il Corriere della Sera continuano a dispensarci il loro verbo dell’ideologia liberista fallimentare e fallita. Ma il loro ultimo intervento, apparso in prima pagina sul quotidiano di via Solferino del 23 aprile, stavolta merita un’analisi dettagliata, poiché contiene un insieme raro di mezze verità e veri e propri capovolgimenti della realtà letta con gli occhi di un’ideologia: tutta merce utilissima per comprendere come il mondo vada al contrario.



Hanno sbagliato, ammettono: perché successivamente alla crisi “abbiamo cercato di ridurre i debiti e i deficit dei conti pubblici, dimenticandoci o quasi delle banche”. Oibò, un piccola dimenticanza. Un’inezia, che volete che sia. Il risultato? “Ma senza credito un’economia non funziona e quindi non cresce, e senza crescita rimettere in ordine i conti è molto difficile”. Direi: la scoperta dell’acqua calda. Ma non lo sapevano prima? O si erano distratti? O lo sapevano benissimo? Viene alla mente una recente dichiarazione di Giorgio La Malfa, il quale ha raccontato di aver discusso con Padoa Schioppa sull’unione monetaria; ad un certo punto gli ha detto: ma non vi rendete conto che l’euro non può funzionare? E Padoa Schioppa rispose: credi che non lo sappiamo?



Non può funzionare, ma nelle argomentazioni di Alesina e Giavazzi bisogna far presupporre, senza dirlo chiaramente perché sarebbe facilmente smentito, che “senza credito un’economia non funziona”. Ovviamente è una menzogna: la frase corretta è “senza moneta un’economia non funziona”; il che sottintende l’impostazione di un sistema economico in cui la moneta che hai, se l’hai, non sarà sufficiente, quindi quella che manca dovrai chiederla in prestito, quindi hai bisogno del “credito”. Un bel ragionamento furbo per nascondere una realtà tanto semplice quanto drammatica: il credito di uno è il debito dell’altro. E così la frase originaria dovrebbe essere: in questa economia delirante e demenziale “senza debito l’economia non funziona”. Tanto è vero che il debito cresce sempre, pure quando l’economia non cresce.



Così prosegue l’ineffabile duo di commentatori: “Una banca può fare nuovi prestiti se ha sufficiente capitale. Se lo ha perso, come è accaduto durante la crisi finanziaria… non solo non farà prestiti, ridurrà anche le linee di credito concesse in passato”. Se fosse vero: se fosse vero che la banca concede prestiti in base al capitale posseduto. Ma le banche creano denaro dal nulla e per gli investimenti finanziari ne hanno sempre in abbondanza. Quello che qui emerge è una doppia menzogna.

La prima è sulla definizione di banca: se essa è un ente creditizio, dedito al servizio del credito (insieme alla custodia dei depositi), allora che ci faceva sui mercati finanziari a regalare soldi alla speculazione finanziaria? Questo rende evidente quanto sia di buon senso e necessaria quella norma che fino alla fine degli anni ‘90 vietava alle banche di deposito e risparmio di essere anche banche di investimenti. Con quella norma, una crisi dei mercati finanziari non avrebbe avuto modo di propagarsi così diffusamente nell’economia reale. Ora invece, grazie alle banche che raccolgono risparmio e fanno speculazione finanziaria, il credito è in crisi. Gli azionisti delle banche vogliono profitti e questi si fanno nei mercati finanziari, non nell’economia reale. Il sistema del credito bancario è inceppato, le banche tendono sempre più a fare speculazione e non a fare crediti.

La seconda menzogna è relativa alla funzione di chi genera credito: per quale motivo esso può o deve essere generato? La moneta, e di conseguenza la generazione di moneta, è un bene comune? Chi lo genera si deve occupare (o preoccupare) solo della sostenibilità finanziaria oppure deve tener conto anche di fattori sociali e quindi avere come riferimento il bene comune? E le banche oggi sono attrezzate culturalmente per sostenere il bene comune? Oggi la risposta è chiara: ogni singola istituzione del sistema bancario viene giudicata solo su criteri contabili. Quello che occorre invece è un tipo diverso di capitale, non generato a debito e finalizzato al bene comune.

Ma il duo Alesina-Giavazzi vive sulla luna: “Il governo federale degli Stati Uniti ha prima obbligato gli istituti di credito a ricostituire il capitale… solo dopo si è occupato della finanza pubblica”. Si è occupato della finanza pubblica? Non me ne sono accorto, anche perché il debito Usa continua a battere ogni record precedente, allegramente sostenuto dalla Fed che ogni mese acquista oltre 80 miliardi di dollari in titoli di Stato.

Ma continuiamo: “In Europa invece non è accaduto: per due motivi. Innanzitutto i vecchi azionisti delle banche, ciascuno nel proprio Paese, erano molto potenti: per esempio, le fondazioni bancarie in Spagna e in Italia, i governi dei Lander in Germania. Quando hanno sottoscritto aumenti di capitale lo hanno fatto con il contagocce”. Quindi, lasciano intendere Alesina e Giavazzi, miopi poteri locali incapaci di uno sguardo più ampio e culturalmente contrari alla globalizzazione.

Ma ora c’è il passaggio gustoso: “Nelle scorse settimane la Federal Reserve di Washington ha imposto agli otto maggiori istituti americani un capitale pari ad almeno il 5% del totale dei loro investimenti, senza entrare nel dettaglio di quanto essi fossero rischiosi”. Una vera perla, questo passaggio. La Fed “ha imposto agli otto maggiori istituti americani…”; ma allora, i succitati vecchi azionisti locali non c’entrano niente, visto che pure negli Usa non sono stati toccati. Proseguiamo: “un capitale pari ad almeno il 5% del totale dei loro investimenti…”; vuol dire, visto che la matematica non è un’opinione, che parliamo di investimenti complessivi pari a 20 volte il capitale. Rischiosetto, non vi pare? E questa sarebbe la soluzione di Alesina e Giavazzi? Contenere gli investimenti finanziari solo fino a 20 volte il capitale? E perché no 30 o 50? Cosa cambia? Mah.

E la perla finale di quella frase? “…senza entrare nel dettaglio di quanto essi fossero rischiosi”. Non sia mai. Perdersi in dettagli. Che a nessuno salti in mente una simile eventualità! Anche se poi questi dettagli fanno fallire la banca e svanire i tuoi soldi. E quale sarebbe la soluzione indicata, secondo Alesina e Giavazzi? Ovviamente avere una Bce come la Fed e quindi “per ricapitalizzare le banche è necessario spostare le decisioni lontano dalle capitali europee, e quindi dagli interessi che ne frenano i governi”. Un ragionamento dalle molte grinze, perché non si capisce per quale miracolo uno spostamento delle decisioni (e quindi dell’autorità che prende le decisioni) dovrebbe miracolosamente (o magicamente, dipende dal tipo di religione pagana) creare capitali per le banche.

“Finalmente si sta riparando a uno dei guasti iniziali, anche se con notevole ritardo. Un’unione monetaria è fragile senza un’unione bancaria, cosi come un mercato unico è impossibile senza un controllo europeo sulla concorrenza, una funzione che l’Europa assolve bene”. Con notevole ritardo? Ma l’esempio usato è quello degli Stati Uniti, dove “…nelle scorse settimane la Federal Reserve di Washington ha imposto…” qualcosa di irrilevante. Solo “nelle scorse settimane”, questo sarebbe il “notevole ritardo” europeo?

Notevole ritardo su cosa poi? Una unione bancaria che non fa altro che decidere centralmente di far pagare ai correntisti, inoltre accentrando i controlli bancari sui 130 maggiori istituti bancari europei. La cosa ha già scandalizzato gli addetti ai lavori, perché tutti sanno che le piccole banche tedesche, ovviamente escluse da questi controlli centralizzati, erano tra le più esposte, allo scoppio della crisi, con titoli tossici, tanto da essere le prime in Europa a subire l’onta di salvataggi pubblici. E la continua mancanza di controllo su questi istituti (con crediti garantiti dallo Stato, in violazione delle norme europee) non può far dormire sonni tranquilli a nessuno, iniziando da Draghi.

Per assonanza ideologica, non posso non citare le parole ascoltate da un video della Presidente della Camera Boldrini. Sia perché, con tutto il rispetto istituzionale, mi sembrano politicamente e socialmente deliranti, sia perché danno un’idea chiara di quello che potrebbe essere il nostro futuro, almeno nella testa di alcuni personaggi. La Boldrini parla del nostro dovere di accoglienza degli emigranti e dei valori da essi portati: “…un’accoglienza che sappia misurarsi con la sfida della globalizzazione, quella sfida che porta con sé, come ovvio, anche maggiori opportunità di circolazione delle persone…”. E chissà cosa ne pensano gli emigranti di questa bella opportunità di circolazione offerta loro dalla globalizzazione “.. perché nell’era globale… si muovono le persone, e non solo per turismo…” (dovete vedere il sorriso che nasce mentre declara queste parole) “e i migranti oggi sono l’elemento umano, l’avanguardia di questa globalizzazione e ci offrono uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi…”. Forse aveva paura che qualcuno non avesse compreso chiaramente il suo pensiero, quindi lo ripete “… loro sono l’avanguardia di quello stile di vita che presto sarà uno stile di vita per moltissimi di noi”.

Lo sanno benissimo, sanno cosa stanno facendo e hanno ben chiari gli obiettivi. Timore? No, non dobbiamo averne. Loro si sbagliano spesso. Anzi, sempre più spesso. Dobbiamo avere solo una certa fede, da cui nasce una ragionevole fiducia e una lieta speranza. Se ai tempi oscuri abbiamo superato l’epoca dei barbari, questa svolta sarà un bicchiere d’acqua. Però bisogna essere benedettini.