La riforma della Pubblica amministrazione elaborata dal ministro Mariana Madia è pronta per essere discussa dal consiglio dei ministri. A quanto pare sarà messa a punto nel corso della settimana sottoforma di un decreto-legge o di un decreto. La principale novità sarà la staffetta generazionale, attraverso “un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e, più in generale, dei dipendenti vicini alla pensione, per favorire l’ingresso dei giovani”. Gli altri punti fondanti saranno la garanzia dell’assunzione per tutti coloro che hanno vinto il concorso pubblico, la mobilità interna, la riforma del sistema di reclutamento dei dirigenti pubblici e l’introduzione del principio del merito. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.
Che cosa ne pensa della riforma del governo Renzi nel suo complesso?
Da parte di Renzi vedo solo messaggi senza alcuna concretezza. L’aspetto più negativo e pericoloso è la staffetta generazionale, che è solo un nuovo “trucco” per aumentare la spesa pubblica. In questo modo si fanno nuove assunzioni e prepensionamenti, o comunque non si alza l’età pensionabile dei dipendenti. Conosciamo questo modo di usare le pensioni per rinviare i problemi del mondo del lavoro perché fu estensivamente adottato in Italia negli anni ‘80 ai tempi dell’alleanza tra Dc e Pci.
A parte questo aspetto, ritiene che si tratti di una riforma innovativa?
Non particolarmente. I contratti a termine, per esempio, c’erano già, salvo che in precedenza erano di breve durata e adesso saranno estesi. Il pagamento di una parte della retribuzione in base al merito è invece molto importante.
Quali sono le principali difficoltà nell’introdurre un principio di merito nella Pubblica amministrazione?
La difficoltà sta nell’introdurre effettivi meccanismi di misurazione, perché misurare i risultati degli uffici comporta il fatto di disporre di parametri per controllare la quantità di ore di presenza e il lavoro svolto dai singoli. Per poter assegnare i premi occorre effettuare un controllo che rischia di trasformarsi in una forma di interferenza. Mentre nell’industria è sufficiente valutare la produttività, nella Pubblica amministrazione è necessario analizzare come lavorano i singoli, misurando lo smaltimento delle pratiche da parte di ciascun dipendente.
A qualche anno della riforma Brunetta, perché è necessaria una nuova riforma della Pubblica amministrazione?
Brunetta aveva compiuto un tentativo di riforma, ma si è scontrato con l’ostilità dei sindacati che hanno chiesto di essere loro a gestire questa operazione. Il problema però è che in questo modo chi non è protetto non riceve il premio.
Quali sono le sue proposte al ministro Madia?
La misura più importante da intraprendere è cercare di ridurre la burocrazia, prima ancora che trovare nuovi metodi per fare lavorare i dipendenti pubblici. Va ridotto il numero di uffici e vanno realmente abolite le Province, delegando ad altri livelli le loro funzioni amministrative e di controllo. Occorre deregolamentare il più possibile, anche nel campo del lavoro. In questo modo i costi della burocrazia si riducono.
Un’ampia parte dei dipendenti pubblici lavora nella scuola…
Nel mondo della scuola occorre aumentare le ore di insegnamento per singolo docente di medie ed elementari e cercare dei sistemi per ridurre l’enorme numero di maestri e professori, che arrivano quasi a un milione.
Infine, come si può migliorare nel complesso la macchina amministrativa?
Bisognerebbe deregolamentare e abolire una serie di norme e incombenze. In secondo luogo, è necessario controllare le presenze e allungare l’età dei dipendenti pubblici per ridurre gradualmente il numero di addetti. Dobbiamo impiegare meglio gli addetti che abbiamo, evitando di assumere nuove persone. Creare occupazione nel pubblico impiego significa spendere soldi che andrebbero usati per ridurre le imposte.
(Pietro Vernizzi)