Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha metabolizzato l’importanza dei media meglio di tutti i suoi predecessori – e dello stesso Silvio Berlusconi, il quale pur tuttavia, con le televisioni e l’editoria ha creato una delle maggiori industrie europee del settore. Solo così si spiega il fatto che da quando è a Palazzo Chigi appare in televisione in media quattro ore al giorno (tra interviste, interventi, dibattiti e servizi di cronaca in cui è, volente più che nolente, il protagonista). Le inchieste demoscopiche sulla popolarità hanno sinora mostrato che ciò rende (nonostante qualche sbavatura e passo falso – come analizzato su queste pagine). Renzi è in testa agli indici di popolarità e trascina con sé, nelle intenzioni di voto, il Partito democratico che, altrimenti, rischierebbe una forte caduta di consensi a ragione della sua litigiosità interna.



È in questa chiave che andrà letto il Documento di economia e finanza (Def) che verrà presentato domani e su cui Renzi si è già assicurato un forte supporto del Cnel, che pur ritiene tanto inutile da proporre di sopprimere l’art. 99 della Costituzione (la base di legittimità del Consiglio). Infatti, il Def dell’8 aprile sarà un documento destinato principalmente all’opinione pubblica e alle autorità europee, che lo attendono in base a un calendario più ferreo del “cronoprogramma” di governo.



È questa un’affermazione ingenerosa nei confronti di tutti coloro che hanno passato il fine settimana a mettere a punto il testo e che anche ora si sta arrovellando nel limare lessico e cifre? Tutt’altro, è molto più arduo (specialmente per gli uffici tecnici) mettere a punto un Def per i media che un Def che esprima indirizzo di Governo in materie cruciali e proponga decisioni puntuali. Infatti, sappiamo già che gli indirizzi di Governo essenziali verranno espressi non col Def dell’8 aprile, ma con un decreto legge che verrà approvato dal Consiglio dei ministri il 15 o il 16 aprile e il cui testo definitivo giungerà in Parlamento unicamente dopo le (brevi) ferie associate alla Santa Pasqua, quando sarà definito il destino di Silvio Berlusconi (che è, al tempo stesso, il capo dell’opposizione parlamentare e il co-firmatario della “larga”, ma traballante, intesa sulla riforme) e, soprattutto, saranno messe a punto le candidature per le liste europee (che anche in seno al Pd stanno creando tante fibrillazioni, aumentando le già profonde divisione interne).



Chi è uso a esaminare i documenti di governo con indipendenza di giudizio e dando il giusto peso ai loro contenuti tecnici non potrà esprimere un’opinione ponderata prima del 22-23 aprile (ove non dopo il “ponte” del 25 aprile), in quanto a materie come le “coperture” per le nuove spese (ad esempio, i tanto decantati 80 euro al mese nelle tasche dei lavoratori a basso reddito).

A quel che sappiamo, nel Def verrà presentato un quadro macro-economico meno ottimista di quello proposto nell’“aggiornamento” della fine del 2013: ora per il 2014 si prevede una crescita dello 0,8%, ossia un rafforzamento del tasso annuale segnato negli ultimi tre mesi. Il Def sarà, però, ottimista in tema di spread e di lotta all’evasione. In breve, nonostante al ministero dell’Economia e delle Finanze si scuota dubbiosamente la testa, si delineerà uno scenario in base al quale il miglioramento dello spread e il recupero di gettito da evasori incallito verrà estrapolato al resto del 2014, nonché al 2015 e al 2016.

Verrà, poi, de-enfatizzata la manovra per la riduzione del debito (nonostante al recente Ecofin tenuto ad Atene ci stia stato detto, senza mezzi termini, che i vincoli del Fiscal compact restano tali e quali, senza alcuna deroga – né implicita, né tanto meno esplicita), indicando che, a tal fine, si denazionalizzerà (ma da maggio a dicembre ciò potrà comportare incassi per 10 miliardi di euro al massimo – un quinto della riduzione del debito da effettuare in base agli accordi ratificati nella confusa notte del 25 luglio (sic!) 2012). Si punterà molto infine sul sessantenne Carlo Cottarelli e sulla sua spending review, ormai diventata anch’essa un oggetto mediatico: accorpamento di ambasciate e consolati, riduzione di direzioni generali, tetti (più o meno eludibili) alle riduzioni dei compensi di quei superburocrati della cui collaborazioni Renzi (e Padoan) hanno esigenza per lavorare.

Non sta a un economista giudicare quanto queste ipotesi siano realistiche. È materia, piuttosto, per astrologhi e per chiromanti. Il punto centrale è se il documento avrà, tramite i media, gli effetti sull’opinione pubblica che Renzi si auspica. Qui è materia per neuroeconomisti. Si è stati abbastanza abili a non fare comprendere le dimensioni della vera e propria sconfitta incassata alla riunione dell’eurogruppo ad Atene circa un settimana fa. È possibile che la misura tattica riesca. Sempre, però, che il decreto del 15-16 aprile sappia convincere quando se ne conosceranno i dettagli.

Una strategia che punta sui media non è per tutte le stagioni. Ben lo sapeva Napoleone Bonaparte, prima che televisioni e web dominassero il tempo di una proporzione importante della popolazione. Quando tutte le coronate di Europa si inchinavano ai suoi piedi dopo la battaglia di Austerlitz disse a Talleyrand, di cui apprezzava l’acume politico ma non si fidava, “alla prima sconfitta tutti mi volteranno le spalle ed affileranno i pugnali”. Talleyrand sorrise. Accossentendo.