La notizia è potenzialmente di quelle in grado di cambiare i corsi della storia economica e finanziaria, ma, attenzione, potrebbe anche portare con sé un pericoloso rovescio della medaglia. Stando a quanto riportato da Businessweek, infatti, la Bundesbank tedesca e la Pobc cinese hanno accettato di cooperare nella compensazione e nella liquidazione dei pagamenti in renmimbi, spianando la strada a Francoforte per accaparrarsi una quota del mercato off-shore. Le due banche centrali hanno firmato un memorandum d’intesa la scorsa settimana a Berlino, quando il presidente cinese, Xi Jinping, ha incontrato la Cancelliera tedesca, Angela Merkel: giunta l’ufficialità politica, da Francoforte la Buba ha rilasciato una dichiarazione via email.
La capitale finanziaria della Germania ha prevalso su Parigi e Lussemburgo in una gara all’interno della zona euro per conquistarsi la leadership del commercio di renminbi, moneta che secondo la “Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication” supererà in ottobre l’euro come seconda moneta più usata nella finanza e nel commercio globale. «Francoforte è uno dei centri finanziari più importanti d’Europa ed è la sede di due banche centrali, che ne fanno un luogo particolarmente adatto», ha dichiarato Joachim Nagel, membro del comitato esecutivo della Bundesbank. Il quale ha poi aggiunto: «Regolare qui il renminbi rafforzerà gli stretti legami economici e finanziari tra la Germania e la Repubblica popolare cinese».
Secondo l’Ufficio federale di statistica di Wiesbaden, l’anno scorso la Cina era il terzo partner commerciale estero della Germania, con 140 miliardi di euro di interscambio commerciale tra i due paesi. La Cina si colloca al quinto posto tra gli importatori di merci tedesche ed è il secondo più grande esportatore verso la Germania: le aziende tedesche, tra cui la Siemens AG, la più grande società di ingegneria del Paese, e la Volkswagen AG stanno integrando il renmimbi come terza valuta per le transazioni commerciali trans-frontaliere. «Il potenziale è enorme – ha detto Stefan Harfich, manager per i servizi finanziari della Siemens -. L’introduzione del renmimbi come valuta ufficiale della società avrà un impatto importante sugli affari della Siemens dei prossimi anni». Daimler AG, il produttore della Mercedes che ha venduto 235.644 auto in Cina l’anno scorso, il 14 marzo ha emesso 500 milioni di yuan nell’economia più grande dell’Asia, nel cosiddetto panda-bond di una società estera non finanziaria.
Insomma, roba grossa. Destinata potenzialmente a due conseguenze: far innervosire e non poco gli Usa, ma, contestualmente, rischiare un’esposizione ancora più diretta alla bolla del credito cinese, oltre a quella della deflazione importata per la svalutazione della stessa moneta cinese al fine di esportare sovra-capacità. C’è poi un terzo punto: quanto debito è in grado davvero di controllare la Cina? Al netto delle riserve da oltre 5 triliardi di dollari, giova ricordare che al 31 dicembre scorso il comparto corporate cinese siedeva sulla cifra record di 12 triliardi di dollari di debito tra obbligazioni e prestiti bancari, come certificato dalle stesse autorità e come dimostrato da questo grafico: significa il 120% del Pil cinese.
Non a caso, nell’arco di un paio di mesi sono cominciati i default proprio nel settore corporate, per ora certamente limitati, ma con un potenziale da non sottovalutare affatto, vista la difficoltà per le aziende di finanziarsi al fine di pagare i coupon in scadenza. Stando a dati della Thomson Reuters, la crescita del debito nel settore aziendale cinese non ha precedenti: da una lista di 945 medie e grandi aziende non finanziarie scopriamo infatti che il debito è cresciuto più del 260%, passando da 1,82 triliardi di yuan a 4,74 triliardi di yuan tra il dicembre 2008 e il settembre 2013. E se la catena di default che qualcuno si attendeva non si è ancora palesata è perché molte aziende nei comparti a maggior indebitamento – come le spedizioni, macchinari, le costruzioni e la lavorazione e produzione dell’acciaio – stanno vendendo assets e dando vita a fusioni per evitare di fare default sul loro debito.
Il costo del denaro continua a salire, frutto della contrazione del credito e della liquidità voluta dal governo e oggi le aziende cominciano a fare i conti con l’uso a volte dissennato fatto dei 4 triliardi di yuan di stimolo all’economia liberati dal governo a partire dal 2008, quando molte ditte investirono pesantemente in progetti competitivi ma poco profittevoli, poiché potevano contare su facilità illimitata di finanziamento: ora, con pochi ricavi e progetti spesso non performanti, la scarsità di credito morde. Ed emerge con tutta la sua forza il problema iniziale: quanto debito può assorbire la Cina, stante la ratio già attuale dei crediti non performanti, come ci mostra il grafico a fondo pagina?
Le categorie di cosiddetto “bad debt” in Cina sono storicamente tre: prestiti bancari, prestiti dei trust e prestiti da settori come la cosiddetta finanza informale e le aziende di garanzia del credito. Negli anni, i problemi con le ultime due categorie sono sempre stati risolti dalle varie autorità locali, mentre i prestiti bancari sono sempre stati salvati attraverso compagnie di gestione finanziate direttamente dal ministero delle Finanze. Il problema ora è dato dallo stratosferico livello di indebitamento dei governi locali, molti dei quali sono alle prese già ora con shortfall fiscali, quindi il governo centrale – attraverso il ministero delle Finanze – potrebbe abbastanza presto essere chiamato ad acquisti diretti.
E nonostante fino a oggi le somme che sono state coinvolte nei default appaiono limitate e gestibili, il governo di Pechino può gestire in realtà soltanto un piccolo aumento del “bad debt”, poiché questa nuova voce di allocazione dei fondi leverebbe liquidità e investimenti per politiche di crescita e commerciali. La Cina non può permettersi ancora quanto invece si vedono garantiti gli Usa, i quali contabilizzano negli acquisti esteri continui di proprio debito una chiave di finanziamento finora illimitata o quasi. E, poi, se per caso Pechino decidesse di spendere parte delle sue enormi riserve in dollari per tamponare questa situazione, si conoscerebbe immediatamente la conseguenza che la Cina teme proprio di più: lo yuan che va fuori controllo, a meno di sterilizzazioni su quelle vendite.
Che fare, quindi? Smettere con finanziamenti facili e politiche ultra-indulgenti verso l’economia reale? Pericoloso in un periodo in cui già si parla di contrazione del dato di crescita e nel Paese crescono come funghi le “città fantasma”, diretta conseguenza della contrazione del credito e della raggiunta capacità massima di assorbire immobili, stante l’urbanizzazione ormai al suo picco massimo. Non vorrei che Pechino, insieme alla deflazione, voglia usare l’Europa per esportare anche un po’ di guai legati al credito. Mi sbaglierò certamente e la Germania ne trarrà enormi vantaggi, ma il timing dell’operazione appare quantomeno sospetto. Staremo a vedere.