Ci risiamo. Al governo domina l’ignoranza. Non che la cosa sia una novità, da quando è scoppiata la crisi. Anzi, il tipo di atteggiamento è veramente monotono. Si applicano le risoluzioni sbagliate, non tenendo conto delle esigenze del bene comune, ma quelle dei più forti e dei più potenti. Il risultato è disastroso, come buon senso e dottrina economica avevano dettato. Ma si continua sulla stessa strada, incutendo mediaticamente lo spettro del disastro per superare ogni protesta e ogni ipotesi diversa.



E così è anche riguardo la lotta al contante, con la scusa che quello favorirebbe e nasconderebbe l’evasione. Anzitutto bisogna chiarire un principio: la tassazione eccessiva rende moralmente illegittimo lo Stato. E questo, oltre a essere la mia opinione personale (e non credo di essere il solo a pensarla così), è un dettato costituzionale: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.” (Art. 36). Ora, è palese che in nessun caso ogni governo si sia mai preoccupato di verificare la sufficienza della retribuzione, soprattutto relativamente alle fasce meno abbienti della popolazione. Inoltre, proprio le aziende più grandi e le banche utilizzano tutti gli strumenti legittimi a loro disposizione per minimizzare gli esborsi fiscali. Anche per questo la Fiat, per esempio, ha spostato la propria sede fiscale a Londra e la propria sede legale in Olanda. Tutto questo è legale, ma moralmente? La morale non c’entra, dicono. Ma la morale c’entra sempre e la morale in questo caso è che i deboli ci rimettono sempre, mentre i troppo forti sanno sempre come cavarsela.



E lo Stato alla fine si dimostra un gigante dai piedi d’argilla, capace di prendersela solo con i più deboli, incapaci di difendersi. E per questo li perseguita, utilizzando motivazioni che sono impresentabili alla ragione. Come nel caso della limitazione nell’uso del contante, ripetendo in ogni occasione che è uno strumento per la lotta all’evasione. Come se i miliardi di evasione si facessero con gli scontrini del caffè al bar. O con il sistema bancario che ripete che l’uso del contante è da retrogradi, che nel nord Europa sono più civili e utilizzano di più carte di credito e altri strumenti di pagamento elettronici. E venendo pure a dirci che “il contante costa troppo”, come successo recentemente a un Workshop del CeTIF (Centro di Ricerca su Tecnologie, Innovazione e servizi Finanziari dell’Università Cattolica) dal titolo “La redditività dei servizi di pagamento: innovare per generare valore per il cliente”. Secondo il lavoro presentato, in Europa ammonta a 100 miliardi l’anno il costo per la produzione, il trasporto, la sicurezza del contante. Ma il “contante costa troppo” per chi? Ovviamente per il sistema bancario. Inoltre, il contante costa finché è nelle mani del sistema bancario. Dal momento in cui entra in circolazione, il costo è zero.



Al contrario, i sistemi elettronici di pagamento sono un costo insignificante per il sistema bancario, ma un continuo costo vivo per tutto il tempo di utilizzo. Con la non banale differenza che sono un costo vivo per i consumatori. E questo sarebbe per il sistema bancario “innovare per generare valore per il cliente”? E che bella innovazione! Ma non basta. La lotta al contante non è certo una invenzione italiota, né è il primo caso nella storia. Basterebbe vedere il caso della Corea del Sud, dove nel 1997 il governo decise di favorire decisamente l’utilizzo dei sistemi elettronici di pagamento.

Il cambiamento è stato importante, nel senso che qualsiasi operaio oggi ha 4 o 5 carte di credito nel portafogli. E pure il numero delle transazioni elettroniche è decisamente ai vertici mondiali: nel 2011 ogni coreano ne ha fatte in media 130, molto più dei canadesi (89) e quasi il doppio degli americani (79). Ma a pensarci bene, 130 transazioni all’anno sono una cifra del tutto modesta, che mostra quanto ancora, per la spesa di tutti giorni, il contante sia indispensabile. E per quanto riguarda la corruzione, non si può certo dire che la Corea sia un buon esempio, essendo nota a livello mondiale la diffusa corruzione. Secondo stime Ocse, l’economia sommersa della Corea è pari al 25% del Pil, contro il 18% della media Ocse.

Le limitazioni del governo italiano sono tra l’altro ridicole per definizione, non essendo in potere dello Stato determinare la quantità di banconote da mettere in circolazione, ma della sola Bce, resasi indipendente per definizione da ogni ingerenza dei governi e di ogni altra istituzione. Se fosse vero che il contante ha un costo esorbitante, perché mai la Bce continua a stampare moneta cartacea in eccesso, superando di gran lunga ogni aumento del Pil? Se il Pil dell’area Euro negli ultimi due anni è sempre stato inferiore all’1%, come mai il valore delle banconote è passato dagli 870 miliardi di euro agli oltre 930 miliardi, con un aumento di quasi il 7%?

In particolare, poiché le banconote da 500 euro sono spesso utilizzate dalla criminalità organizzata, perché l’attuale governo non protesta con la Bce per la loro diffusione? Perché non impedirne l’utilizzo, come hanno fatto in Gran Bretagna? E perché non fare lo stesso con le banconote da 200 e da 100 euro, che le banche centrali hanno continuato ad aumentare, nonostante la recessione in corso?

Domande scomode, che evidenziano tutti i limiti dell’attuale azione del governo e fanno il paio con un’altra semplice verità. In Germania non ci sono limitazioni all’uso del contante. Il resto sono chiacchiere. In una situazione di rarefazione monetaria nell’economia reale, la ricetta unica di tutti gli ultimi governi è quella di mettere ulteriori ostacoli alla circolazione dei contanti. Invece di ostacolare la finanza speculativa, continuano a vessare chi produce beni reali e servizi. Il contrario dei sistemi di Moneta complementare, che continuano a diffondersi sempre più, come è ovvio laddove la moneta ufficiale non soddisfa più le esigenze dell’economia reale.