«Dietro il calo del rendimento dei Btp decennali al minimo dal 1999 c’è la stessa regia che a fine 2011 fece schizzare lo spread italiano a 528 punti. L’obiettivo è tranquillizzare gli elettori in vista del voto europeo per evitare una vittoria dei partiti critici nei confronti dell’euro». A rivelarlo è Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara. Da inizio settimana lo spread è continuato a scendere, con livelli di rendimento dei titoli di Stato decennali che non si registravano dall’introduzione dell’euro.
Il dato sui Btp decennali significa che il debito pubblico italiano non corre più rischi sul mercato?
Il problema della sostenibilità del debito pubblico italiano non dipende dall’entità dei tassi di interesse, ma dal fatto che oggi è denominato in valuta estera, cioè in euro. Il nostro Paese non esercita la sua sovranità monetaria, ed è questa la sua vera debolezza. L’unica via d’uscita è la reversibilità del debito, che è ancora sotto la giurisdizione delle leggi italiane. Per il principio della “Lex monetae”, ribadito anche dal Codice civile, noi possiamo ritramutare l’entità del debito in qualsiasi valuta che abbia corso reale nella nazione. Se dovessimo ritornare alla lira, sarà questa la valuta per calcolare il nostro debito.
Intanto però il rendimento decennale scende. Possiamo tirare un sospiro di sollievo?
La verità è che ci troviamo in una situazione di mercato drogato, e non sappiamo quale sarebbe la risposta dei Btp decennali in condizioni normali. Sappiamo che i mercati sono controllati e che nell’estate 2011 la crescita vertiginosa dello spread fu determinata da scelte ben precise da parte di determinate banche estere, che avevano dato ordine di riposizionare il loro portafogli titoli vendendo il debito pubblico italiano. Ora si sta ripetendo quando avvenuto allora pur con segno opposto.
Lo spread ai minimi è comunque il segnale di un clima di fiducia. Da che cosa è determinato?
Più che di clima di fiducia parlerei di uno spot elettorale. L’establishment nazionale ed europeo teme che alle prossime elezioni ci sia una netta vittoria di forze estremamente critiche nei suoi confronti. Per questo ha messo in atto un tentativo di diffondere queste aspettative di ripresa, che poi vediamo essere sempre disattese. A essere oggetto di ripresa sono solo gli utili di qualche società che ha delocalizzato. Non è questa la vera ripresa, ma quando iniziano ad aumentare i consumi interni e il tasso di disoccupazione diminuisce. In Europa le cose non stanno andando in questa direzione. Ricordiamoci che l’unico vero potere del Parlamento Ue consiste nello sfiduciare la Commissione, come è avvenuto nel 1999. Ora sarebbe il caso di rispolverare questo strumento.
In che modo è possibile ritrasmettere all’economia reale il dato positivo sullo spread?
Lo spread è ai suoi minimi perché è di fatto pilotato sui mercati, come lo era nell’estate 2011 quando per motivazioni puramente politiche alcune banche estere hanno dato ordine di vendere titoli del debito pubblico italiano. L’andamento dello spread era dunque tanto artefatto allora quanto lo è oggi. L’unica differenza è che oggi c’è una volontà di far vedere che la situazione si sta normalizzando, anche perché se l’Eurozona fosse effettivamente un’area valutaria ottimale lo spread non esisterebbe, ma tutti i titoli di Stato si troverebbero esattamente allineati.
Perché secondo lei lo spread cala proprio adesso?
A meno di 20 giorni dalle elezioni tutto converge nel cercare di spegnere eventuali disagi nell’ambito dell’area euro, e il modo per ottenere questo risultato è appunto quello di manovrare lo spread. Nel 2011 i tassi dello spread Btp/Bund erano schizzati e poi abbiamo scoperto che dietro c’era una regia e che nulla era casuale.
(Pietro Vernizzi)