Jean-Claude Juncker, candidato del Partito popolare europeo per la Commissione Ue, apre a una possibile deroga al tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil. “A priori, non vedo alcuna ragione per cui debba essere concessa alla Francia, o all’Italia, una dilazione supplementare per ritornare entro i limiti del deficit”, ha affermato l’ex presidente dell’Eurogruppo. Per poi aggiungere: “Ma poi, tutto dipenderà dagli impegni sulla stabilità che i governi prenderanno, e da come la Commissione europea o l’Eurogruppo, il vertice dei ministri delle Finanze della zona euro, valuteranno questi stessi impegni. Io sono aperto al dibattito. Non rappresento l’austerità, come certi pensano, ma la serietà”. Ne abbiamo parlato con Alberto Bagnai, professore di politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara.



Professor Bagnai, quella di Juncker è solo una promessa elettorale o fa sul serio?

Juncker è il candidato alla presidenza della Commissione Ue per il Ppe, e di fatto è uno degli architetti dell’Europa che sta fallendo. Questa Europa che sta fallendo in questo momento ha paura di una cosa sola: di un’affermazione consistente dei movimenti critici alle prossime elezioni europee. Per evitarlo tutto ciò che può fare è mostrare il volto umano. Dire che “prima si va a votare e poi se ne parla” è estremamente sleale dal punto di vista democratico. Quando si va a votare bisognerebbe sapere qual è il programma e l’effettiva posizione di chi ci rappresenterà, soprattutto su un punto così importante. Non è l’unico esempio di mancanza di trasparenza nella politica economica europea.



A che cosa si riferisce?

L’European Redemption Fund dovrebbe essere presentato come un meccanismo di mutualizzazione dei debiti pubblici, ma in realtà ha diversi margini di oscurità tra i quali quello secondo cui una parte dei cespiti fiscali dei Paesi il cui debito supera il 60% sarebbe di fatto ignorata dalla Commissione per contribuire all’estensione del debito pubblico del Paese.

Come valuta questo aspetto della norma Ue?

È un fatto particolarmente grave soprattutto che non si sappia la modalità attraverso cui dovrebbe avvenire questa sorta di “cessione del quinto” da parte dei singoli Stati membri dell’Eurozona. C’è quindi un grave problema di trasparenza, cioè di democrazia. La stessa Bce ormai ammette che il debito pubblico è più una conseguenza che una causa della crisi. Ciò non significa che non lo si debba curare, ma che insistere solo sul sintomo evidentemente ci impedisce di guarire la vera ragione del male che è il cattivo funzionamento della finanza privata europea.



 

Più in generale, qual è la politica economica che ha in mente Juncker?

A preoccuparmi di Juncker non è tanto il tipo di politica economica che ha in mente, quanto il suo metodo democratico. Quando era capo dell’Eurogruppo, in un’intervista allo Spiegel, Juncker fece affermazioni estremamente gravi: “In Europa noi lavoriamo così: facciamo una proposta, la mettiamo sul tavolo e vediamo se la gente protesta. Se la gente protesta la ritiriamo, dopo di che la ripresentiamo, finché le persone ormai distratte permettono che la proposta sia approvata anche se va contro i loro interessi”. È esattamente ciò che è successo con la riforma bancaria che va sotto il nome di Unione Bancaria Europea.

 

Intanto secondo alcuni quotidiani il governo Renzi starebbe pensando a un condono fiscale sul rientro dei capitali. Come valuta questa ipotesi?

Qualsiasi ipotesi di condono, voglio vedere come sarà proponibile politicamente da parte di un governo che appartiene a quella sinistra che ha fatto di un certo rigore morale la bandiera della sua superiorità morale. Tra l’altro è un condono che andrebbe a vantaggio dei ricchi e non dei poveri. Da una sinistra di questo tipo non mi stupisce. Il problema è che i capitali fuggono dall’Italia non solo per cercare un maggior rendimento, ma perché l’euro è troppo forte e ciò porterà a una delle due seguenti conseguenze: o cala o esplode. Nessuno vuole re-importare capitali in Italia perché rischia di trovarsi incontro a una potenziale svalutazione vuoi dell’euro vuoi della nuova lira.

 

(Pietro Vernizzi)