Alitalia ha risposto punto su punto alla lettera di Etihad, nella quale la compagnia emiratina aveva esposto le sue condizioni per arrivare a un accordo. Dalla corrispondenza emerge un piano in sei punti per il rilancio del vettore italiano. Tra le linee guida ci sono: la sinergia con Etihad e con le compagnie collegate; l’inserimento in un network che dispone di 95 milioni di passeggeri; lo sviluppo delle rotte a lungo raggio; l’utilizzo di Linate per i voli europei; l’incremento delle tratte intercontinentali da Malpensa. Ne abbiamo parlato con Roberto De Blasi, ex dirigente di Alitalia e autore del libro “Alitalia. Una privatizzazione italiana”.



Partiamo dalle sei linee guida per lo sviluppo di Alitalia. Lei che cosa ne pensa?

Il piano di sviluppo prevede un network tale da convogliare su Fiumicino il traffico europeo, anche attraverso la consociata Air Berlin. I nostri flussi di traffico sono abbastanza stagionalizzati, e per mantenere una presenza durante tutto l’anno con tratte di lungo raggio c’è bisogno di un mercato che le alimenti. Perché ciò avvenga non bastano le tratte italiane, ma occorrono anche quelle per l’Europa, il Medio Oriente o altre destinazioni intercontinentali. Etihad mira a entrare in Europa per potersi sviluppare, in quanto è un’azienda con un mercato limitato, ma molti soldi da investire e una flotta potenzialmente molto ampia.



L’accordo tra Etihad e Alitalia alla fine si farà?

Le condizioni per un accordo ci sono, e soprattutto per Alitalia non esistono molte altre alternative. Da questo punto di vista, purché si mantengano i livelli occupazionali e il sistema Paese continui ad avere un vettore in grado di servire la domanda interna, ben venga Etihad. La riduzione delle tratte sul corto raggio in parte potrà essere compensata dall’alta velocità ferroviaria, ma i consumatori italiani hanno anche interesse che il vettore Alitalia continui ad avere traffico e frequenze per servire la provincia italiana e le destinazioni di corto raggio.



Che cosa ne pensa dei 2.700 esuberi previsti dal piano?

Bene o male è il numero di cui si parla ormai da tempo. Sia Air France che Etihad hanno parlato di esuberi tra le 2mila e le 3mila unità. Non è chiaro come si vadano a salvaguardare i livelli occupazionali e quale potrà essere la reazione dei sindacati a fronte di ulteriori sacrifici per 2.700 persone. Una volta chiariti gli aspetti di assetto strategico, quelle con le banche e con i sindacati saranno le ultime due partite che rimarranno.

Le banche accetteranno davvero di cancellare 562 milioni di debiti di Alitalia?

Il punto di partenza è che un piano “stand alone” per Alitalia non è realmente un’ipotesi di successo. Negli ultimi decenni la compagnia italiana si è trovata più volte a opporsi alle offerte di un piano industriale all’interno di un’alleanza, optando per una solitudine tutt’altro che splendida. Finché resta da sola e con un mercato e una flotta limitata, Alitalia non potrà certo sopravvivere, e quindi dovrà per forza inserirsi in un contesto più ampio che dovrebbe essere quello di Etihad. Quindi non c’è una grande scelta per i soci e per le banche che lamentano dei crediti nei confronti di Alitalia. Non so a carico di chi potrebbe rimanere un’eventuale bad company, in quanto Alitalia oggi è un’azienda privata. Ritengo che l’unica soluzione possa essere quella di riconvertire il debito in azioni della futura Alitalia-Etihad.

 

Che cosa ne pensa dell’idea di fare di Malpensa l’hub di riferimento per rilanciare il cargo?

La ritengo una buona opportunità, anche perché Alitalia manca di un polo e di un partner aereo forte nel cargo, così come era Alitalia Cargo tempo fa. A oggi questo fa perdere competitività al sistema Paese e al settore delle nostre esportazioni e importazioni. A sua volta Malpensa è sempre stato un aeroporto con grandi problemi, dovuti alla destagionalizzazione della domanda e ai problemi sempre aperti con Linate. Utilizzare lo scalo varesino come polo cargo potrebbe essere un modo interessante per rilanciarlo, soprattutto in un’ottica di liberalizzazione di Linate.

 

(Pietro Vernizzi)