Ve lo avevo detto e alla fine è successo: dopo quattro mesi di rally completamente ingiustificato dai dati macro, il debito dei paesi periferici europei comincia a rimandare sinistri segnali di rinnovata crisi. Italia e Spagna, la scorsa settimana, hanno pagato il prezzo più alto, quando la sell-off azionaria e obbligazionaria greca ha dato vita a una reazione a catena che ha visto il nostro spread e quello iberico patire la peggior perdita giornaliera da diciotto mesi a questa parte. Ieri, poi, la conferma: i traders, per coprirsi dalle perdite, si sono lanciati sui prodotti derivati di copertura come non ci fosse un domani ed ecco che il nostro differenziale ha toccato quota 180, dai 150 di sette giorni prima. E attenzione, quanto sta accadendo deve far paura, perché se nonostante le parole-promesse di Draghi di un intervento a giugno chi opera si sente più sicuro scaricando, significa che l’effetto Bce era già prezzato nei trading a basso spread degli ultimi mesi, quindi ogni potenziale delusione da parte dell’Eurotower potrebbe tramutarsi in un diluvio di vendite.
Come si dice in gergo, si conosce davvero la dimensione della porta d’uscita solo quando più persone la cercano allo stesso tempo: e ricordate, nonostante gli spread bassi, il mercato dell’obbligazionario sovrano periferico non ha mai conosciuto tutta questa liquidità, erano le banche a mantenerlo artificialmente vivo. E, non a caso, ieri a Piazza Affari i titoli del comparto bancario hanno trascinato al ribasso l’intero listino. Basti pensare, poi, che il bond greco al 2% con scadenza febbraio 2024 ha visto il suo prezzo crollare a 75,3 il 15 maggio scorso, il peggior calo da quando l’obbligazione è stata emessa nel marzo 2012: poi non dite che non vi avevo avvertito sul bluff ellenico. Il rendimento del decennale ha conosciuto un aumento di 51 punti base, raggiungendo il rendimento del 6,81%, l’aumento maggiore dal giugno 2013, toccando a fine settimana quota 6,86%, la chiusura più alta dal 27 marzo scorso.
Con il Pasok al 5,5% dei consensi, sesto partito del Paese, chi investe vede sempre più a rischio il governo di Antonis Samaras, tanto che la prima tornata di elezioni regionali e locali tenutasi domenica non ha visto alcun partito ottenere abbastanza voti per essere dichiarato vincitore. L’Italia, ovviamente, ha pagato per prima il contagio greco, con il rendimento del decennale salito di 19 punti base il 15 maggio scorso, l’aumento giornaliero maggiore dal 24 giugno dello scorso anno. E la cosa peggiore sono i volumi di vendita: è bastata infatti una piccola ondata per creare un grosso impatto sui prezzi, sintomo della fragilità insita e mai sparita dell’area periferica e della facilità con cui un prosciugamento anche minimo e limitato nel tempo di liquidità può impattare pesantemente sul rischio di credito di bond con basso rating come i nostri.
Inoltre, il mercato è stracarico di obbligazioni sovrane periferiche, fatto che amplifica il movimento al ribasso: siamo in un mondo di detentori fuori indice di performance, gente che comprava solo per il rendimento sul carry trade e ora queste persone cominciano a guardare la realtà e ad avere paura. La Spagna non è da meno, visto che la sell-off del 15 maggio ha visto lo yield salire di 16 punti base sul decennale raggiungendo il 3,02%, anche in questo caso il rialzo maggiore dal 24 giugno 2013. Ieri l’extra-rendimento che gli investitori chiedono per detenere un decennale spagnolo rispetto al pari durata tedesco è salito a 166 punti base, dopo aver toccato i 179 sul finire della scorsa settimana: certo, quanto sta accadendo può anche essere un riposizionamento sul breve termine e non per forza un ripensamento tout-court dei mercato rispetto al rischio sovrano della zona euro, ma rimane il fatto che se vendite di questa entità limitata possono creare danni simili ci troviamo di fronte a un vero e proprio stigma, a un tallone d’Achille che i mercati ora conoscono non per percezione ma per certezza.
Un domani, con le nostre banche a quota 395 miliardi di detenzione di debito pubblico e con il 70% dello stesso in mano italiana – risparmiatori, istituti di credito, assicurazioni – sarebbe molto facile metterci in ginocchio, senza nemmeno bisogno di magheggi come quelli raccontati nel suo libro da Tim Geithner. Gli investitori, già oggi, si sono lanciati nel mercato dei derivati, con i contratti future sul Btp italiano saliti al livello record di 165mila e questo non è un bel segnale, visto che certifica come il calo del prezzo del nostro debito sia stata molto repentino, come altrettanto rapida è stata la corsa degli investitori verso l’uscita di sicurezza, ovvero i derivati che permettono di variare molto in fretta la posizione di investimento. E questo si concretizza in un ulteriore calo della liquidità sul mercato azionari, visto che la differenza tra richiesta e offerta nel decennale greco è cresciuta di 17 punti base durante la sell-off del 15 maggio scorso, rispetto a una media di 12 punti base dei 28 giorni di trading precedente e restando poi costante attorno a quota 15 fino a oggi: per capirci, la stessa differenza per il Bund a dieci anni è stata di spread inferiore a metà di un punto base la scorsa settimana.
Quindi, al netto di Draghi e di quanto sarà in grado di fare affinché gli investitori continuino a credere nel falso miracolo dell’Europa periferica – ovvero spread basso a fronte di dati macro che sono simili, se non peggiori, di quanto i differenziali erano in area 500 punti base (è di ieri la notizia che l’occupazione nel nostro Paese è al livello, negativo, del 2002) – resta un fatto: la compressione degli spread non è una via a senso unico, ci sono forti criticità che possono portare a eventi simili a quella della scorsa settimana, con la magnitudo delle vendite amplificata dal prosciugamento della liquidità, ad esempio denaro che esce dall’obbligazionario per entrare nel mercato di copertura da rischio dei derivati.
Per carità, non dite queste cose a Matteo Renzi, potrebbe restarci male. Ma voi datemi retta, non c’è proprio nulla di risolto e nulla da festeggiare nella crisi dei debiti sovrani periferici europei: c’è da stare molto ma molto attenti. Abbiamo banche stracariche di bond e solo il 30% del debito in mano estera: siamo la preda perfetta per gli appetiti speculativi.