C’è un caso Italia sui mercati? Sembrerebbe, in parte, di sì. Un qualcosa che pesa e che va al di là del mero timore per un’affermazione a valanga delle forze euroscettiche – ipotesi non peregrina anche in altri paesi dell’Ue -, ovvero il fatto che sia la stabilità stessa del governo Renzi a essere messa in dubbio da chi investe. Ieri, infatti, la Spagna ha collocato 3,516 miliardi di euro in titoli di Stato a 3 e a 9 mesi. Nel dettaglio, sono stati piazzati 925 milioni di Bonos a tre mesi con un rendimento sceso allo 0,295% dallo 0,324% dell’asta precedente e un bid to cover pari a 3,5 contro 4,1. Inoltre, sono stati collocati 2,591 miliardi di Bonos a 9 mesi con un tasso dello 0,552%, in rialzo rispetto allo 0,465 % dell’asta precedente e un bid to cover pari a 2,3 contro 2,5. In scia a questo risultato, lo spread tra Bonos spagnoli e Bund tedeschi si è attestato a 169 punti con un rendimento pari al 3,04%, mentre il rapporto tra Btp e Bund è salito a 188 punti, con un rendimento al 3,23%.
Insomma, al netto del comune destino di paesi che scontano ancora gravi deficit sui fondamentali economici, lo spread tra l’Italia e la Spagna si è allargato negli ultimi giorni, tanto che alcuni analisti consigliano di rimanere long sui Bonos contro i Btp come strategia di hedging per tutelarsi contro scenari di buone affermazioni delle forze anti-europeiste in occasione del voto del 25 maggio. Insomma, l’incertezza sull’avanzamento delle forze anti-euro, chiamiamole così per comodità, nelle imminenti elezioni europee sta alimentando la volatilità sul mercato, soprattutto in Italia, visto che a oggi in Spagna i partiti conservatore e socialista restano in testa e l’esito probabilmente non avrà un impatto duraturo sui mercati.
Il nostro Paese, invece, sconta un rischio in più, pagato non solo attraverso lo spread ma anche nelle performance di Piazza Affari contro l’Ibex 35, ovvero il timore che possano concretizzarsi deviazioni rispetto allo scenario delineato dai sondaggi, le quali potrebbero a loro volta innescare instabilità politiche a livello nazionale. Per parlarci chiaro, i mercati temono che il bavaglio imposto per legge ai sondaggi nel periodo precedente al voto stia solo nascondendo temporaneamente la verità che potrebbe deflagrare domenica notte: M5S primo partito. Cosa succederebbe, se così andasse?
Beppe Grillo, in caso il suo movimento ottenesse un voto più del Pd, ha annunciato da tempo la “marcia su Roma”, un qualcosa di ovviamente esacerbato dall’eloquio classico del comico, ma che si riverberebbe immediatamente sulla tenuta del governo, con una parte sempre più ampia del Pd che mal digerisce l’impostazione poco assembleare di Matteo Renzi e il suo decisionismo. Ecco perché lo spread spagnolo resta più basso del nostro, al netto dell’irrealismo macro anche di quel dato. Ma nel silenzio elettorale di questi giorni, una notizia – direttamente legata al nostro Paese e al suo futuro – rischia di passare sotto silenzio.
Le banche centrali europee hanno deciso di rinnovare fino al 2019 il Central bank gold agreement (Cbga), ma con una differenza non trascurabile rispetto al passato: da oggi non viene imposto alcun tetto alle vendite di oro dai forzieri ufficiali. E se la quarta edizione del Cbga, in vigore per 5 anni a partire dal 27 settembre, ha lasciato perplesso qualche analista, qualcosa nell’apparente normalità dell’accaduto dovrebbe farci riflettere. Nel breve comunicato diffuso lunedì non solo si ribadiva infatti la consueta formula secondo cui «l’oro rimane un importante elemento delle riserve monetarie globali», ma i firmatari – la stessa Bce e altre 20 banche centrali (Eurozona più Svizzera e Svezia) – promettono di «continuare a coordinare le transazioni in oro per evitare disturbi al mercato» e affermano di «non avere al momento alcun piano di vendere quantità significative di oro».
Addirittura entusiasta si è dimostrato il World gold council, organizzazione di riferimento dei produttori auriferi, per cui persino la rimozione dei limiti alle vendite è da interpretare in chiave positiva, perché «fornisce un chiaro segnale che le vendite di oro sono state sostanzialmente completate». In effetti, a livello globale le banche centrali sono addirittura diventate acquirenti nette dal 2010 in poi. Inoltre, a quattro mesi dalla scadenza, i firmatari dell’ultimo Cbga hanno ceduto appena 23,5 tonnellate rispetto alle 2mila consentite e quasi tutte per coniare monete d’oro. Insomma, dopo la svendita folle messa in atto da Gordon Brown quando era ministro delle Finanze, l’oro è diventato qualcosa con cui le banche centrali non intendono più scherzare. Anzi, lo si accumula, vista anche l’operatività in tal senso di Cina, Russia e India. Qualcosa però non torna: perché, se tutto è così sereno e tranquillo, a ridosso della chiusura delle Borse Ue il prezzo dell’oro ha subito un primo crollo, sostanziatosi poi in un vero e proprio tonfo quando ieri negli Usa era mattino e i mercati stavano entrando in operatività? Perché qualcuno è stato colto talmente dal panico da vendere futures nozionali sull’oro per un controvalore di 520 milioni di dollari, spedendo il prezzo dell’oncia in giù di 7 dollari? Un pazzo? Un panic seller? Probabile, ma io, che vedo sempre il marcio in tutto come sapete, non mi fido di quel comunicato tranquillizzante e delle parole entusiaste del World gold council e non perché operi ad alcun livello sull’oro: temo per le nostre riserve.
Vi ricordate dell’articolo recente in cui vi parlavo dell’Erf, lo European redemption fund? Bene, in base a quell’accordo propedeutico al Fiscal compact, la parte eccedente il 60% della ratio debito/Pil dei vari paesi europei verrà messa in un fondo capace di emettere obbligazioni ma dietro garanzia di tutti i beni statali, tra cui le riserve auree. L’Italia ha la terza riserva aurea mondiale, un totale di 2.451,8 tonnelate pari a 37,970 miliardi di euro, stando ai dati ufficiali. Non è che l’abbattimento del vincolo relativo alla quantità di riserve auree che si possono vendere sancito dal Central bank gold agreement si concili un po’ troppo con le finalità operative dell’Erf? Non è che tutto questo timore per l’avanzata di partiti euroscettici sia legato al fatto che un’eventuale marea di dissenso potrebbe rovinare i piani di lorsignori in fatto di svuotamento non solo e non tanto della sovranità ma anche dei forzieri dei paesi con alto debito pubblico?
Sarebbe interessante che Bankitalia ci dicesse, poi, dove è stoccato il nostro oro, se in Italia o anche all’estero, visto che se la Bundesbank si è sentita in dovere di rimpatriare con ampio anticipo le proprie riserve auree depositate presso la Fed di New York un qualche motivo di allarme potrebbe esserci ed essere concreto. Ma su questo tema, come sul super-derivato contratto per centrare i parametri di Maastricht, il silenzio è tombale e il mistero assoluto. Attenzione, qui non si tratta di inseguire Grillo o chi altro sul terreno dello sfascismo o della denuncia continua e costante, qui si sta parlando di beni primari del Paese, delle sue leve strategiche.
Ma questo è un Paese che consente allo Stato francese, attraverso Caisse de Depots et Consignations (la Cassa depositi e prestiti d’oltralpe, ndr), di comprare sei giorni fa una partecipazione strategica in un’azienda controllata dallo Stato italiano, ovvero l’1,5% di Finmeccanica, diretta concorrente delle francesi Alstom e Siemens, mentre Parigi solo la scorsa settimana ha emanato un decreto legge che permette allo Stato di bloccare le scalate estere in settori strategici. Vi rendete conto! Tutto nel silenzio, tutto come se niente fosse.
Attenzione, lo shopping estero è iniziato e voi nemmeno lo sapevate. Votate chi volete domenica, ma riflettete bene su cosa sta accadendo, perché un Paese che si arrovella sugli 80 euro in busta paga mentre lo stanno svendendo è un Paese già morto. C’è un caso Italia sui mercati? Sì. Ed è grande come una casa, a volerlo vedere.