Non credo che chi si considera vincitore delle elezioni di ieri (i dati definitivi non sono ancora disponibili), a livello europeo e italiano, abbia metabolizzato che un tema di cui nessuno ha parlato durante la campagna elettorale, ma che occuperà non poco le istituzioni europee (anche e soprattutto il Parlamento europeo), è la “grande ristrutturazione” del debito dell’eurozona. Se ne parla a pagina 61 del XVII Rapporto sull’Economia Globale e l’Italia curato, come ogni anno, da Mario Deaglio per il Centro di Ricerche e Documentazione Luigi Einaudi, e sostenuto da Ubi Banca, già presentato in varie città italiane e che sarà proposto a Roma il 20 giugno.
Si sa: si va spesso alla presentazione di documenti per vedere e farsi vedere e gustare la cena nei giardini del Ripetta Residence, specialmente se la serata primaverile è bella. Tuttavia, l’allarme del Rapporto è in buona compagnia. Il grafico a fondo pagina mostra la vera e propria escalation del debito dell’eurozona rispetto all’impegno di tenerlo al di sotto del 60% del Pil.
Ci sono ovviamente differenze tra Stato e Stato; ad esempio, nel documento di lavoro No. 1639 della Banca centrale europea (Bce), in cui dieci economisti di altrettante banche centrali nazionali dell’eurozona analizzano “la distribuzione del debito nell’area dell’euro e il ruolo delle caratteristiche individuali degli istituti e delle condizioni di credito”, e nel documento Bce No. 1623 sono stati illustrati i “segnali del mercato nel valutare i debiti”.
Un saggio di Louis Piccotti sul “contagio” di debiti pubblici troppo elevati mette l’accento sul debito dell’Italia. Ma domani la situazione potrebbe essere differente: i grafici del Rapporto mostrano che mentre basterebbe poco per contenere l’ascesa del rapporto del debito/Pil dell’Italia, la Francia (che non ha effettuato alcuna riforma seria di previdenza e sanità e il cui disavanzo commerciale è doppio dell’avanzo commerciale del nostro Paese) potrebbe essere al centro del ciclone.
Ma dove c’è una vera e propria bomba è il Working Paper del CESifo No. 4135 (istituto severissimo nei confronti dell’Italia) in cui, sulla base di un’analisi storica rigorosamente quantitativa, Heiko T. Burret, Lars P. Feld ed Ekkehard A. Köhler, non certo tra gli ultimi arrivati in questo campo, affermano testualmente che «i fatti ci portano a concludere che il debito pubblico tedesco ha urgentemente esigenza di essere “consolidato”», nonché che «le lacune nella contabilità pubblica della Repubblica Federale indicano l’esigenza di riforme urgenti per fare sì che il consolidamento del bilancio avvenga in modo ordinato».
Quindi, non sono solo i Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) a incutere timore, ma anche Francia e Germania. I fondi dell’European Stability Mechamism (Esm) non sono affatto adeguati a fare fronte alle esigenze della “grande ristrutturazione”. Anzi, se non vengono prese misure adeguate presto la stessa European Banking Union potrebbe diventare una vittima e perire ancora prima di nascere.
Cosa fare? Un quarto di secolo fa, in un libro scritto a quattro mani con Giuseppe Scanni (Debito,Crisi, Sviluppo Marsilio, Venezia 1991) descrivemmo la “grande ristrutturazione regionale” (con garanzie Usa) del debito dell’America Latina. Successivamente, alla fine degli anni Novanta, la “crisi asiatica” comportò un’altra “grande ristrutturazione regionale”, sempre con una mano americana provvidenziale. Questa volta, gli europei se la dovranno cavare da soli, con le loro istituzioni tra cui il nuovo Parlamento europeo appena eletto. La strumentazione tecnica non manca. Occorre chiedersi se c’è quella che un tempo veniva chiamata “la volontà politica”.