«La vittoria del Partito Democratico alle elezioni europee dà a Renzi una marcia in più nei colloqui a Bruxelles, soprattutto perché il Pd è stato l’unico partito nella famiglia dei socialisti europei a registrare un risultato positivo. Per cambiare le cose in Europa occorreranno però tempo e pazienza, non dobbiamo illuderci che il nostro premier abbia la bacchetta magica». È l’analisi di Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, nel momento in cui i governanti del Vecchio Continente si preparano a incontrarsi nel Consiglio Ue. All’ordine del giorno c’è la nomina del nuovo presidente della Commissione, con Jean-Claude Juncker in pole position per succedere a José Manuel Barroso.
Quanto conterà nei colloqui europei la vittoria del Pd di domenica?
Quella di Renzi è stata una doppia vittoria. A livello nazionale ha sfondato il dato storico del Pd arrivando al 40%. A contare però è soprattutto il significato di questo risultato a livello europeo, nel momento in cui si segnalano vistosi arretramenti all’interno dello schieramento dei partiti socialdemocratici, penso in primo luogo ai Socialisti francesi che sono al 13%. Il Pd italiano è il primo partito di questo schieramento, il che lo pone in una condizione di relativa forza.
Dopo il risultato ottenuto alle europee, il premier Renzi può guidare il fronte anti-rigore in Europa?
Agli occhi di Angela Merkel e dei Popolari europei, Renzi diventa l’interlocutore più forte. L’Italia è uno dei paesi fondatori dell’Europa e quindi ha un peso anche storico importante. Questa doppia investitura fortissima che ha avuto Renzi lo mette nelle condizioni migliori per essere un punto di riferimento e cercare di tessere delle alleanze in Europa. Francia e Spagna, insieme all’Italia, possono fare pressioni sulla Germania e sui guardiani del rigore a oltranza per trovare qualche varco.
In che modo Renzi potrebbe far cambiare direzione all’Europa?
Da questo punto di vista non dobbiamo farci delle illusioni. Renzi ha detto che vuole cambiare l’approccio europeo, non le regole, e che l’Italia rispetterà tutti i parametri. Vedremo se sul terreno del Fiscal compact ci sarà un’azione comune dei paesi più interessati a trovare dei varchi per un confronto più sereno, sul percorso di un accordo che si presenta per l’Italia come molto impegnativo. Non dobbiamo aspettarci che nell’arco di tre mesi Renzi possa cambiare il corso storico del processo europeo.
C’è la possibilità che le cose cambino almeno nel lungo periodo?
Il premier italiano dovrà lavorare molto, ma ha un’occasione straordinaria perché il destino farà sì che dal primo luglio guidi il semestre italiano di presidenza europea. È quindi una carta in più che Renzi può mettere oggettivamente sul piatto. Inizieranno delle difficili trattative su chi presiederà la Commissione Ue e in questo quadro il nostro presidente del consiglio può dire una parola importante, perché è investito di un consenso elettorale molto forte e si presenta con un partito in piena forma nella trattativa con i colleghi del fronte socialista. Ci sono quindi le condizioni per iniziare un percorso di cambiamento, senza immaginare miracolismi o bacchette magiche.
Qual è il nuovo contesto europeo in cui si dovrà inserire l’opera di Renzi?
La mappa europea è punteggiata da un’avanzata molto forte degli euroscettici, che non sono un fronte politico unico e compatto, in quanto si passa dall’estrema destra all’estrema sinistra. Si tratta comunque di un segnale forte che i cittadini europei hanno dato a Bruxelles e alla Germania. Il risultato francese è stato inaspettato nelle proporzioni, ma era atteso come tendenza. Ciò comporta dei problemi di rapporto tra la Germania e la Francia, che sono sempre state le architravi della costruzione europea. Renzi si muove quindi certamente avendo alle spalle un grande successo, ma su un campo di battaglia europeo rispetto al quale occorreranno tempo, pazienza e capacità di tessere intese.
(Pietro Vernizzi)