Il Rapporto Annuale 2014 – La situazione del Paese, presentato dall’Istat a Roma ieri 28 maggio, non è solamente una radiografia quantitativa dell’Italia nell’anno in corso e nel precedente, ma include un’analisi di una crisi iniziata nel 2007-2008 e indicazioni di politica economica a medio termine. Si tratta di “indicazioni”, poco più che “suggerimenti”, in quanto l’Istat applica sempre il massimo rigore nel tenersi nei propri confini istituzionali. È, però, importante che le analisi asettiche dell’Istituto vengano presentate all’indomani della vittoria elettorale di un esecutivo, ora nella posizione di formulare quella politica economica a medio termine che, sinora, tra annunci di riforme e misure plasmate con un occhio alle elezioni, pare essere mancata.



I punti trattati nel documento sono numerosi. Soffermiamoci solo su tre particolarmente importanti e di speciale rilievo per l’esecutivo: a) politica di bilancio; b) politica sociale; c) redistribuzione dei redditi.

Il primo è cruciale anche alla luce delle discussioni iniziate dal Presidente del Consiglio in sede europea: com’è noto, l’intenzione sarebbe quella di giungere al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea in ottobre con l’approvazione (almeno in prima lettura) della riforma costituzionale al fine di potere aspirare a un allentamento dei vincoli sulla finanza pubblica. Un obiettivo difficile e al cui raggiungimento, nelle condizioni attuali, non si può dare un elevato grado di probabilità. “In un contesto di riduzione di risorse pubbliche – dice il documento- , diventano ancora più cruciali politiche finalizzate al miglioramento della qualità e dell’efficienza della spesa e quelle volte a una migliore efficacia dell’azione redistributiva nei confronti delle famiglie e delle imprese”. 



Ciò rafforza quanto più vote indicato dal Commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli: un contributo metodologico in materia renderebbe più facile rimodulazioni della spesa (anche di parte corrente) che tengano adeguatamente conto di esigenze di ridistribuzione del reddito e di obiettivi occupazionali specialmente diretti alle fasce a basso livello di reddito e consumo. A riguardo il Cnel ha prodotto un documento sui parametri di valutazione della spesa che è stato apprezzato dal mondo accademico italiano, da università straniere, da Ocse, da Banca Mondiale, da Nazioni Unite, da amministrazioni italiani (specialmente dal ministero dello Sviluppo Economico, che sta approntando guide operative). È difficilmente comprensibile che la parte sindacale (specialmente una delle Confederazioni) ne abbia bloccato la prosecuzione proprio quando si stava entrando nell’esame del valore sociale dell’occupazione per differenti aree del Paese – strumento vitale per le politiche della qualità della spesa pubblica. Il Presidente del Consiglio e il ministro del Lavoro dovrebbe chiederne spiegazioni ai leader confederali. Anche perché l’Ue chiede risposte in questa materia e ciò potrebbe ostacolare la strategia italiana per il Consiglio europeo di ottobre.



In materia di politica sociale, il Rapporto analizza il contributo crescente del settore non profit, del volontariato, dell’associazionismo, nell’ambito dell’assistenza sociale e della sanità, in controtendenza a fronte delle difficoltà del settore pubblico. “Il non profit – scrive l’Istat – potrebbe diventare un’opportunità in questi ambiti se venissero superate alcune evidenti criticità e difficoltà, nspecialmente l’eterogeneità territoriale a sfavore del Mezzogiorno”. È un’indicazione che sottoscriviamo in toto. Ricordiamo che circa un quarto di secolo fa, in un libro fondamentale (Making Democracy Work, Princeton University Press), il socio-economista americano Robert Putman giunse a conclusioni identiche. Il Presidente del Consiglio ha un’arma per ottenere molto, nel sociale, con poca spesa di qualità. La utilizzi. Molti italiani saranno al suo fianco.

Il Rapporto esamina la crescita delle diseguaglianze negli anni di crisi in Italia con dati più accurati e maggiore ponderazione dei numeri (discutibili) e l’enfasi che hanno portato fama all’economista francese Thomas Piketty e formula una proposta non nuova (l’idea viene da economisti americani come Arthur Okun negli anni Ottanta) ma pertinente: un’imposta negativa sui redditi familiari più bassi – uno strumento di contrasto alla povertà moderno che consente di concentrare la spesa sui più bisognosi tenendo conto della numerosità della famiglia e delle economie di scala. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan dovrebbero farne tesoro.