L’Unione europea ha perso il treno? A giudicare dagli ultimi dati sembra l’amara verità, non più solo un fosco presagio. Ieri la Commissione ha fornito le sue previsioni, in un giorno in cui le borse sono state duramente colpite dalle cattive notizie che vengono dall’Ucraina e dalla Cina, dove l’industria manifatturiera continua crescere meno delle attese. Le previsioni di primavera arrivate da Bruxelles sono scontate. Una cauta ripresa, alta disoccupazione (pressoché doppia rispetto agli Stati Uniti), prezzi in discesa. Con in più l’allarme sulla ricaduta della crisi con la Russia.



La tempesta inattesa sui cieli dell’Europa occidentale porta con sé incertezza sulle forniture energetiche e sui prezzi del gas; instabilità anche nei flussi dei capitali; sanzioni che colpiscono le grandi imprese, le quali per circa vent’anni sono state spinte dai governi a puntare su Mosca. A essere più danneggiata questa volta non è la periferia, bensì la più grande economia europea, la Germania.



L’industria tedesca può diventare meno competitiva per i costi della riconversione energetica dal gas russo ad altre fonti (le rinnovabili, è questa ancor oggi la scommessa del governo di grande coalizione), non a vantaggio di altri paesi europei, ma degli Stati Uniti. L’Italia, anch’essa fortemente esposta verso la Russia, seguirà a ruota. Tutti i gruppi industriali e bancari europei trattengono il respiro, perché una grande ombra cala sulle loro strategie a medio e lungo termine. Anche se la tensione dovesse stemperarsi, come ci si augura, è avvenuta una frattura geopolitica che condizionerà gli anni futuri. E tutto questo mentre l’Europa ancora fatica a uscire in modo netto e chiaro dalla lunga recessione.



La Commissione Ue definisce la crescita europea “graduale e bilanciata da un punto di vista regionale, coinvolgendo anche la maggiore parte dei paesi vulnerabili”. Il prodotto lordo della zona euro dovrebbe aumentare dell’1,2% nel 2014. Leggermente rivisto al ribasso, invece, il dato del Pil per il 2015, ora all’1,7% contro l’1,8% stimato a febbraio. Per l’Ue a 28 membri, stime all’1,6% nel 2014 e al 2% nel 2015.

L’inflazione continua a calare e ciò rappresenta un parametro da monitorare costantemente per la Bce di Mario Draghi: nell’Eurozona scenderà dall’1,3% del 2013 allo 0,8% nel 2014, mentre nel 2015 dovrebbe risalire all’1,2%. Le nuove stime rivedono al ribasso le previsioni d’inverno, quando il tasso era dato rispettivamente all’1% e all’1,4%. Nell’intera Unione europea i dati previsti sono dell’1% e dell’1,5%. La disoccupazione calerà nell’Eurozona all’11,8% quest’anno e all’11,4% nel 2015. Non in Italia, dove il tasso di senza lavoro vedrà “un nuovo picco” nel 2014 con il 12,8% (contro il 12,6% stimato a febbraio) e nel 2015 “scenderà marginalmente” a 12,5% (a febbraio era al 12,4%). Si tratta di dati peggiori rispetto a quelli dell’Istat.

Non vengono toccate le previsioni europee sul deficit italiano (nel 2014 al 2,6% e nel 2015 al 2,2%) e sulla crescita (+0,6% e +1,2%), meno dello 0,8% e dell’1,3% previsti dal governo. L’Istat proprio ieri conferma lo 0,6% e prevede appena un +1% il prossimo anno. Ma Bruxelles precisa che i dati per il 2015 non tengono in considerazione né la riduzione dell’Irpef per i redditi bassi, né la spending review ,“perché i dettagli non sono stati ancora specificati”.

Non è possibile stimare l’impatto del bonus di 80 euro sui consumi. Il commissario Ue Siim Kallas specifica che “è probabile abbia un effetto neutrale sulla crescita nel breve periodo, ma potrebbe avere un effetto positivo nel lungo termine se sarà finanziato razionalizzando e migliorando l’efficienza della spesa”. L’Istat definisce “modesto” il beneficio sui consumi interni che, in ogni caso, sono previsti in rialzo. Il giudizio definitivo, in sede comunitaria, sui conti pubblici italiani e sul programma di riforma contenuto nel Def presentato da Renzi e Padoan sono attesi per il 2 giugno. Si spera nel via libera allo slittamento di un anno del pareggio di bilancio, anche se il peso del debito, che resta attorno al 133% del Pil, solleva un grande punto interrogativo, come non ha mancato di sottolineare Kallas.

L’Italia, dunque, rimane debole. L’uscita dei paesi periferici dall’emergenza, celebrata con squillanti fanfare sui giornali, non significa affatto che i Piigs sono entrati in una fase di crescita sensibile. In realtà, avviene con almeno un anno di ritardo rispetto al ciclo internazionale; l’Ue doveva cogliere l’occasione tra il 2012 e il 2013, cioè quando le parole e le scelte di Draghi avevano fugato il rischio di un collasso dell’euro, per scegliere una politica di reflazione aumentando la domanda interna a cominciare dai paesi in grado di farlo senza interrompere il cammino di riduzione del debito. Così non è avvenuto, nonostante gli avvertimenti dello stesso Fondo monetario internazionale. Ed è stata perduta l’occasione.

Di fronte alla nuova Guerra fredda o comunque la si voglia chiamare, l’Europa avrebbe dovuto trovarsi in una condizione di maggior forza economica per reggere meglio il colpo di coda e per sfidare davvero Vladimir Putin. Un eventuale embargo rischia di creare maggiori difficoltà ai paesi europei senza scalfire in profondità il potere del Cremlino. L’Occidente ha sempre sottovalutato la capacità di resistenza e di sofferenza dei russi, come dimostra la storia. Senza evocare Napoleone e Hitler, va ricordato che l’agonia del comunismo è durata decenni, molto più di quanto la sua crisi endemica e il mancato funzionamento del sistema avrebbe fatto immaginare.

Una svolta è possibile? Sarebbe doverosa. Ma non avverrà. L’onda euroscettica o neo-nazionalista non spinge le classi dirigenti e i governi a cambiare marcia. Nemmeno il rischio di precipitare in una fase di deflazione e stagnazione sembra aver convinto gli ottusi sostenitori di un’austerità che a questo punto diventa puro autolesionismo. Aspettiamo Mario Draghi che parlerà giovedì dopo la riunione del consiglio Bce. Leadership politiche modeste e senza coraggio si affidano ancora una volta alla banca centrale.

E proprio chi, come la Bundesbank e la Cancelleria di Berlino, alza il cartellino giallo contro gli eccessi della politica monetaria e ne ribadisce i limiti, sfugge alla esigenza di affidare il rilancio a una politica fiscale espansionista. Assurdo, ma vero. Vedremo se la Bce deciderà di usare il bazooka tante volte evocato. E se da qui verrà la spinta sperata. Intanto, i cannoni, quelli caricati non con moneta, ma con polvere da sparo, continuano a tuonare nel bacino del Don.