Il presidente francese, Francois Hollande, ha chiesto alla Germania di decidere insieme una svalutazione della moneta unica, ma si è visto opporre un fermo rifiuto. Steffen Seibert, portavoce del governo tedesco, ha spiegato che “il corso dell’euro non è materia per le politiche nazionali”, sottolineando inoltre che “si tratta di una materia di competenza della Banca centrale europea, che lavora a questi temi in autonomia, e alla quale noi non vogliamo dare alcun consiglio”. Un modo diplomatico per respingere al mittente qualsiasi richiesta. Abbiamo chiesto a Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, di spiegarci le ragioni della diatriba e quali margini di manovra ha la Bce.



Professor Campiglio, come si spiegano le differenti posizioni di Hollande e della Merkel sull’euro forte?

Secondo una recente indagine dell’Eurobarometro, la principale preoccupazione dell’economia e della società di Italia, Francia e Spagna è la mancanza di lavoro, mentre quella della Germania è l’inflazione. C’è un disaccordo di base su quali debbano essere le priorità, ma c’è una differenza importante. Mentre la disoccupazione in Italia, Francia e Spagna è un problema veramente grave, in Germania non si può dire altrettanto per l’inflazione.



Che cosa ne pensa del no tedesco alle richieste francesi?

Le autorità politiche tedesche dovrebbero comunicare ai loro cittadini che non c’è ragione per preoccuparsi dell’inflazione, in quanto quest’ultima in Germania non è mai stata così bassa da 20 anni. Il disaccordo tra Germania da un lato e Francia, Spagna e Italia dall’altro avrebbe la possibilità di essere ricomposto se appena si volesse guardare con buona volontà ai dati di fatto. In questo dibattito sull’euro forte la realtà è decisamente dal lato della Francia piuttosto che della Germania. Da parte delle autorità tedesche ci si attenderebbe quindi una maggiore attenzione. In Germania l’unico vero pericolo, come ha avvertito la stessa Bce, è che l’inflazione sia troppo bassa, non certo troppo alta.



Ritiene che la Bce debba intervenire sul tasso di cambio dell’euro?

Nel momento in cui la Bce dovesse manifestare il suo comportamento e la sua attenzione forte nei confronti della situazione dell’economia e dell’occupazione, sarebbe immediatamente accusata di andare al di là del suo mandato istituzionale. Non rientra nell’ambito degli obiettivi assegnati alla Bce l’impegno per l’occupazione nell’area euro.

 

Quali sono gli strumenti a disposizione della Banca centrale europea?

La Bce ha a disposizione numerosi strumenti. Un impegno esplicito a favore dei livelli di occupazione è proprio ciò di cui oggi avremmo bisogno, anche sottoforma di robusti ammortizzatori sociali per i disoccupati che pure non sono di competenza della Bce. Ma la banca centrale può utilizzare strumenti molto più potenti per fare in modo che il credito arrivi in particolare alla piccola e media impresa. È ciò di cui c’è bisogno in Francia, in Spagna ma soprattutto in Italia.

 

La Germania sta beneficiando degli attuali tassi di cambio?

La Germania, soprattutto a partire dalla crisi del 2009, ha risposto con un forte aumento delle esportazioni verso il mondo asiatico. Dal punto di vista dei cittadini tedeschi la situazione attuale è la migliore possibile, perché avendo un tasso di cambio così elevato il prezzo delle importazioni è basso, mentre le esportazioni continuano ad andare bene.

 

Perché le esportazioni tedesche non sono danneggiate dall’euro forte?

Ciò dipende in primo luogo dalla particolare struttura delle esportazioni tedesche verso il mondo asiatico. La Germania ha avuto la capacità e la fortuna di avere i prodotti giusti al momento giusto, proprio quando la Cina è entrata nel Wto. Ciò ha permesso di liberalizzare gli scambi e di aprire l’enorme mercato cinese a beni tedeschi molto apprezzati dai cinesi stessi come quelli automotive. Per tutti questi motivi, l’euro forte va bene alla Germania in quanto le permette di pagare meno per le importazioni mentre continua ad avere risultati incoraggianti per quanto riguarda le esportazioni. Non va però bene agli altri Paesi, in particolare alla Francia, che a sua volta ha una struttura produttiva molto robusta, ma non è stata così fortunata. E ancora meno fortunate sono state l’Italia e la Spagna.

 

(Pietro Vernizzi)