Le lettere si susseguono quasi più velocemente dei voli. È questa la partita Alitalia in sintesi. Etihad sta lanciando dei chiari avvertimenti per sbloccare gli azionisti dallo loro posizione di arroccamento e adesso sembrerebbe essere arrivata un’altra lettera da parte dei vertici della compagnia di Abu Dhabi dopo la missione dell’Amministratore delegato Del Torchio negli Emirati.
La partita rimane sempre complicata, anche se il Governo sta cercando di favorire molto lo sblocco delle trattative. I sindacati rimangono sotto controllo, con la promessa di sussidi di disoccupazione speciali, mentre la “liberalizzazione” di Linate sembra andare verso la direzione richiesta dagli arabi. Sullo scalo milanese è stato detto tanto, ma dagli ultimi rumors non sembrerebbe proprio che non si tratti di una vera e propria liberalizzazione. Di fatti lo scalo è fermo a 18 movimenti orari verso determinate città europee e non è possibile avere la possibilità di scelta per i vettori circa le destinazioni.
Il decreto Bersani bis, fatto ormai quasi quindici anni fa per favorire l’alleanza tra Alitalia e Klm, abortita tragicamente, di fatto bloccava lo scalo di Linate per cercare di favorire la creazione di una struttura di hub and spoke su Malpensa da parte della nuova compagnia mai nata. Per fare un hub, si rammenta infatti, è necessario avere una compagnia che investa 4-5 miliardi di euro per comprare gli aeromobili necessari a sviluppare tutto il feederaggio (i voli che alimentano l’hub) e i voli a lungo raggio. Inoltre, sempre per precisare al netto delle polemiche politiche, per fare un hub, di fatto è quasi impossibile la coesistenza con le compagnie a basso costo che a oggi trasportano circa 15 milioni di passeggeri sugli scali milanesi (considerando anche Bergamo Orio al Serio).
Per liberalizzare Linate è necessario non solo permettere una maggiore scelta di destinazioni, eliminando le norme che non lo consentono, ma al tempo stesso arrivare ai 25 movimenti orari che la stessa Antitrust aveva ritenuto fattibili (e che di fatto si sono avuti per tutti gli anni ‘90). Altrimenti liberalizzare Linate significherà solo dare ad Alitalia la possibilità di aumentare il numero di destinazioni, senza favorire i consumatori che continueranno a non potere scegliere quale compagnia utilizzare dal city airport.
Se i punti governativi e quelli sindacali sono risolvibili, rimangono da risolvere quelli specifici della situazione aziendale della compagnia aerea. Il vettore continua a perdere soldi e la liquidità finirà durante l’estate e quindi una soluzione va trovata entro quel termine. La creazione di una bad company, che chiaramente dovrà rimanere a carico completo degli azionisti privati (compreso Poste Italiane che è pubblico e che ha il 20% del capitale), potrebbe aiutare a risolvere parte dei problemi.
Quel che è certo è che gli azionisti ormai hanno un’azienda che tende a valere zero, tanto che si parla del fatto che parte del debito venga “ristrutturato”. La soluzione di cancellazione immediata è meno attraente di una fase liquidatoria con la creazione della bad company, ma rimane il fatto che i creditori perderanno almeno 400-500 milioni di euro.
E proprio qui si riallaccia l’ultima lettera di Etihad. La compagnia guidata dal bravo Hogan richiede delle condizioni sempre più dure, per avere una compagnia “pulita e leggera” per potere ricominciare a volare. Non è affatto sbagliato il ragionamento, ma si scontra con la volontà delle banche che vogliono rimetterci il meno possibile.
Uno scontro che potrà andare avanti non per molto, perché i soldi nelle casse della compagnia finiranno, passato il buon periodo fino a inizio agosto, quando si vendono i biglietti estivi. E l’urgenza, che non esce fuori dal silenzio di Alitalia, di fatto gioca a favore di Etihad e il vettore medio-orientale lo sa bene.
La lettera è il tirare una corda che difficilmente potrà essere spezzata, anche se in Italia le soluzioni “alternative” a carico del contribuente, purtroppo, non sono mai da escludere.