La vittoria del Pd alle elezioni europee porta lo spread dell’Italia a veleggiare intorno ai 160 punti base, dopo che solo settimana scorsa fa aveva toccato quota 200. Il rendimento dei decennali italiani torna così sotto la soglia del 3%, in una settimana contrassegnata da aste dai buoni riscontri per il Tesoro. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.



Lo spread tornato a scendere è il primo segnale per invertire la tendenza dopo il dato negativo sul Pil italiano?

Lo spread è sceso, e non dimentichiamoci che oscilla da tempo tra 180 e 160. La vittoria di Renzi implica un governo di maggior durata, e ciò ha portato a una corsa all’acquisto dei titoli di Stato italiani. A influire sullo spread è anche il fatto che Draghi ha dichiarato che a giugno ci saranno interventi espansivi della Bce. Non possiamo dire che questa oscillazione dello spread indichi una particolare fiducia in Renzi, quanto piuttosto il fatto che c’è una maggiore tranquillità rispetto all’incertezza che ci poteva essere nei giorni delle elezioni.



A maggio la fiducia dei consumatori è al massimo dal 2010. Qual è il significato di questo dato?

Questa fiducia dovrebbe essere utilizzata dal presidente del Consiglio per consolidarla, e quindi fare in modo che il moltiplicare della sua operazione sia rilevante. Renzi non deve tradire le aspettative, cosa che avverrà se darà la sensazione che non continui nella riduzione delle imposte, che per ora è stata solo apparente.

Renzi ha vinto anche perché ha portato in campo una nuova cultura politica ed economica?

Il Pd ha conquistato il 40% dei voti, e la sinistra ex comunista non era abituata a questi risultati. Dico ex comunista, anche se in realtà i quadri e la mentalità del nostro centrosinistra sono ancora comunisti, e Renzi stesso non è comunista però è come se lo fosse. Il nocciolo duro della sua equipe è sempre l’apparato della Cgil, delle municipalizzate, di Rai 3, del mondo culturale della sinistra universitaria e della magistratura democratica. In sostanza, Renzi ha questo apparato che ha marciato sotto le sue bandiere, sperando che non avesse un grande successo ma con la fedeltà necessaria per evitare di essere danneggiati.



Che cosa deve fare Renzi a questo punto per favorire la ripresa?

Un presidente del consiglio di centrosinistra come Renzi dovrebbe fare due cose. In primo luogo una politica della produttività, e in secondo luogo una politica delle grandi infrastrutture e un rilancio tecnologico dell’Italia, per rispondere al ritardo del nostro Paese che per esempio penalizza il nostro turismo rispetto a quello della Spagna.

 

In che modo ritiene che vada attuata una politica della produttività?

Il punto è che Renzi finora si è dimostrato ambiguo, in quanto prima ha parlato di contratto unico e poi ha optato per una pluralità di contratti. Ora dovrebbe appoggiare il contratto decentrato che è quello basato sulla comunità, cioè sull’idea opposta al sindacato di lotta che non considera il lavoro come un’attività comunitaria della persona umana che si realizza nell’impresa. Questa idea comunitaria trae origine da una radice cristiana, e ha una realizzazione importantissima nei contratti aziendali e nel sindacalismo riformista di Einaudi. Questo modello finora Renzi non lo ha affatto considerato, perché aveva in mente da un lato il modello neocorporativo della Cgil e dall’altra quello della Bocconi, che è il contratto unico nazionale.

 

(Pietro Vernizzi)