Un’analisi spietata delle crescenti disuguaglianze provocate dalla deriva dell’economia moderna. A fornirla è Thomas Piketty, uno studioso francese della Paris School of Economics, che ha da poco pubblicato il volume “Il Capitale nel ventunesimo secolo”. Il libro ha fatto subito molto scalpore tra i liberal americani, nonostante Piketty citi Marx e Balzac e arrivi a proporre una tassa mondiale sulla ricchezza. Inaspettatamente il volumone da 685 pagine è balzato alla prima posizione nella classifica di vendita di Amazon. Ne abbiamo parlato con Luciano Gallino, sociologo, esperto di mercato del lavoro, e autore del libro “Il colpo di Stato di banche e governi”.



Che cosa ne pensa del modo in cui Piketty affronta il tema delle disuguaglianze nel mondo?

La novità del libro consiste nel fatto di porre al centro dell’attenzione e dell’analisi economica la distribuzione della ricchezza. Mentre gli economisti neo-classici e neo-liberali, che appartengono alla corrente dominante, o ignorano totalmente la questione o intervengono con spiegazioni del tutto insoddisfacenti. È una delle ragioni del grande risalto con cui è stato accolto il libro di Piketty negli Stati Uniti. Tra gli altri aspetti interessanti dell’analisi di Piketty c’è il fatto che non esistono processi spontanei verso il superamento o l’approfondimento delle disuguaglianze. Sono sempre processi in qualche modo orientati e spinti da varie forze. L’evoluzione della distribuzione del reddito secondo Piketty è sempre una questione politica. Ci sono quindi molte ragioni di originalità rispetto alla corrente dominante, anche se le disuguaglianze sono state oggetto di studi importanti da parte di altri economisti.



Come si può uscire dai rischi di un capitalismo avanzato che produce solo disuguaglianze?

Il capitalismo è una macchina enormemente complessa e sviluppata, e quindi non esiste un’unica ricetta. Sicuramente un provvedimento necessario è quello di una riforma del sistema finanziario. L’enorme sviluppo delle disuguaglianze di paesi come Stati Uniti, Italia e Germania dopo la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 è stata causata soprattutto da una crescita incontrollata delle attività finanziarie, che hanno continuato a moltiplicare denaro che dietro di sé non ha nulla, né un’attività produttiva, né un valore di uso reale. È in gran parte capitale fittizio, che però tende ad accumularsi da una parte sola. Un intervento sul sistema finanziario sarebbe assolutamente indispensabile. Va tenuto conto del fatto che quanto è avvenuto non è stato un incidente, e non è stato causato da tecnologia e informatica, ma è stato dovuto alle liberalizzazioni intervenute sia in Europa che negli Stati Uniti per quanto riguarda i movimenti di capitale, i tipi di attività che le banche possono svolgere, e altri aspetti simili. Senza una profonda revisione del sistema finanziario la situazione continuerà ad andare sempre peggio.



 

Michele Ainis ha scritto sul Corriere della Sera che la crisi sta portando al diffondersi di una nuova ideologia pauperista, che rischia di colpire il ceto medio. È d’accordo con lui?

Trovo quasi offensiva una tesi di questo tipo, perché Piketty mostra molto bene che le disuguaglianze non sono venute semplicemente per il fatto che i ricchi sono diventati più ricchi, ma perché il loro arricchimento è esattamente simmetrico all’impoverimento dei più poveri. Quanto è avvenuto dagli anni ’80 in poi è una gigantesca redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l’alto. Considerazioni come quelle di Ainis sono quindi veramente fuori luogo.

 

(Pietro Vernizzi)