Ormai non c’è nemmeno più da stupirsi, per dirla all’inglese, siamo al business as usual. Ieri il Tesoro ha fatto il pieno nell’asta Bot: il ministero dell’Economia ha assegnato tutti i 6,5 miliardi di euro di Bot a un anno con tassi in calo al minimo storico, sotto lo 0,5%, visto che il rendimento sul titolo annuale è infatti sceso allo 0,495% dallo 0,65% dell’asta di maggio. Buona anche la domanda, pari a 1,7 volte l’importo offerto, in rialzo da 1,64 precedente. «Supportata dalle misure della Bce, l’attività del mercato primario continua a rimanere favorevole a costi di finanziamento sui minimi record», hanno sottolineato i fixed-income strategist di Unicredit interpellati da Cnbc, ricordando che nell’asta di oggi verranno offerti da 3 a 3,5 miliardi della terza tranche del Btp maggio 2017, da 3 a 4 miliardi del nuovo sette anni dicembre 2021 e tra 500 milioni e un miliardo del trentennale 2044. Sappiamo già che sarà un successo.
Sempre ieri, poi, il Portogallo ha collocato in asta 975 milioni di titoli a 10 anni, con tasso medio al 3,2524% dal 3,5752% dell’asta di aprile. Il rapporto di copertura è sceso, risultando pari a 2,43 dal precedente 3,5 ma occorre sempre ricordare che si tratta della prima asta dall’uscita del programma di sostegno fiscale a maggio. A detta di Rbs, c’è spazio per altri due collocamenti sindacati più avanti. Tuttavia, bontà loro, da Lisbona fanno sapere che il Tesoro lusitano intraprenderà questa strada solo se lo spread continuerà a restringersi e l’appetito degli investitori rimarrà solido. E ancora, il Tesoro francese ha lanciato il nuovo titolo di Stato a 15 anni indicizzato all’inflazione della zona euro annunciato martedì, con ordini che hanno al momento superato i 5 miliardi di euro. Per il nuovo Oatei, scadenza luglio 2030, è stata fornita un’indicazione di rendimento in area 21 punti base (+/-1 pb) sopra il rendimento dell’Oatei luglio 2027 cedola 1,85%. Il pricing dell’emissione, primo caso di “inflation linked” francese dal 2011, è atteso nella giornata odierna.
Come corre la periferia dell’eurozona ragazzi, roba da leccarsi e baffi e mettersi in fila con il resto del parco buoi per farsi spennare a dovere ma con il sorriso sulle labbra e lo spread ai minimi. Già, perché ieri in apertura di contrattazioni il differenziale tra Btp decennali e omologhi tedeschi era a quota 149 punti base, dopo aver chiuso martedì a 143 punti, con un rendimento del 2,92%, mentre lo spread Bonos/Bund segnava addirittura 122 punti per un tasso del 2,65%. Peccato che a Piazza Affari l’indice Ftse Mib continuasse però a scendere, appesantito guarda caso dalle sanissime banche italiane, con Monte dei Paschi che ancora non riusciva ad aprire ma questa volta per eccesso di ribasso (-23,15% teorico) al terzo giorno dell’aumento di capitale da 5 miliardi di euro.
Eh già: sapete quanto ha già perso chi ha creduto all’aumento di capitale dell’istituto senese, tra azioni e diritti? Il 23%, un bel bagnetto di sangue, non c’è che dire. E auguro a quegli sventurati che il prezzo non scenda sotto un euro, altrimenti possono tranquillamente prendere la paccottiglia che qualche simpatico promotore gli ha rifilato e utilizzarla per stabilizzare sedie e tavoli traballanti. D’altronde, quando si dà fiducia a un istituto tecnicamente già fallito che punta a un aumento di capitale pari al doppio della propria capitalizzazione si ama decisamente il rischio: anzi, direi che se non si è un trader professionista che sa come e quando uscire, siamo alle soglie del feticismo. I miei più sentiti auguri. Ma torniamo al debito pubblico, mia fissazione del momento.
Se ben ricordate, qualche settimana fa scrissi che ormai gli italiani si stavano tramutando in giapponesi, ovvero era sempre più proprietari del loro debito, visto che solo il 30% di questo a oggi risulta in mano straniera. D’altronde, con le banche che ad aprile hanno comprato titoli per 9 miliardi invece di aiutare imprese e famiglie e oggi hanno in portafoglio debito per un controvalore di 340 miliardi, non ci vuole Superman per abbassare lo spread, stante anche l’ultimo regalo di Mario Draghi a banche e governi, come vi ho dimostrato ieri. Direte voi, essere giapponesi non è così male, visto il risultato record della crescita nel primo trimestre, un +6% e rotti garantito dalla stamperia h24 di Shinzo Abe. Peccato che quella stamperia, stia creando i prodromi del disastro.
Primo, quel dato del Pil è frutto soltanto di una cosa: l’innalzamento dell’Iva introdotto il 1 aprile. Ovvero, nel primo trimestre i giapponesi hanno comprato beni come se non ci fosse un domani per evitare di pagarli più cari, attendiamoci quindi un dato del secondo trimestre un po’ diverso, visto che la Bank of Japan ha già messo le mani avanti e si prepara a dare colpa a El Nino per la rivisitazione al ribasso delle stime. E l’economia? Beh, con un Pil così andrà a cannone? No, l’economia nipponica ha conosciuto i primi due mesi di contrazione – avete letto bene, contrazione – dall’inizio dell’Abenomics, come dimostra il grafico a fondo pagina. In compenso, gli stipendi staranno salendo? No, stanno continuando a calare da 23 mesi di fila.
Pensate che io scherzi? Con i prezzi dei beni alimentari che stanno crescendo al ritmo più alto degli ultimi 23 anni dopo l’aumento dell’Iva, l’indice di miseria della nazione è al livello più alto dal 1981, mentre i salari indicizzati all’inflazione stanno patendo il calo maggiore da quattro anni a questa parte. Il cosiddetto “misery index”, combinato disoccupazione (al 3,65%) e inflazione (al 3,4%), ha raggiunto quota 7%, il più alto da 33 anni a questa parte. Proprio miracolosa questa Abenomics, non c’è che dire, fa bene la Bce a seguirne l’esempio, pur con il back-door funding alle banche e non con l’acquisto di massa diretto (anche se non sterilizzare gli acquisti è già un primo passo in sedicesimi). Ma il peggio, per i poveri giapponesi, deve ancora venire. Il livello dei risparmi, infatti, è collassato e questo sta portando alla sparizione del tanto vantato surplus di conto corrente nazionale e alla non peregrina ipotesi, un domani, di dover liquidare tutti gli investimenti esteri per pagare i conti interni, bruciando un surplus creato in 50 anni.
Ma c’è di più, stando alle analisi di Toshihiro Nagahama, capo economista della Dai-Ichi Life Research, il rendimento del decennale nipponico, attualmente attorno allo 0,6%, potrebbe salire al 4%, un livello che non si vede dal marzo 1995, se il bilancio di conto corrente dovesse tramutarsi in deficit e il debito pubblico eclissasse i risparmi nazionali. Sapete cosa vuole il 4%? La fine. Inoltre, grazie all’Abenomics, tutto il mercato del debito pubblico nazionale è comprato dalla banca centrale, senza che nessuno operatore incroci più un singolo prezzo di quella carta. In parole povere, in Giappone si sta dando vita al buyback di tutto il debito pubblico e alla sua trasformazione in yen, moneta che però è destinata ad andare prima o poi da qualche parte: o in beni o in altra valuta. A quel punto, cosa ne sarà del cross yen/dollaro e yen/euro?
I due grafici a fondo pagina spiegano molte cose: il primo ci mostra come l’altra mattina non ci fosse nessuno scambio in corso sui futures del titolo ventennale giapponese. Zero, mercato morto, il mercato è solo la Bank of Japan. Secondo, ecco plasticamente mostrato l’andamento del settore dei servizi in aprile: vi dice qualcosa, in un Paese come il Giappone che è sempre più per vecchi e che quindi vede il settore dei servizi pesare molto di più dell’industria? Già, perché in Giappone nel 2013 ci sono state 238.632 morti in più rispetto alle nascite e calcolando anche l’immigrazione, la popolazione totale è scesa di 217mila unità rispetto al 2012.
Dando per scontato un tasso medio di 1,35 figli per ogni donna, un po’ più basso del livello attuale, la popolazione giapponese dovrebbe scendere a 99,1 milioni nel 2048 e a 86,7 milioni nel 2060 dai 127 milioni attuali, stando a un report del National Institute of Population and Social Security. Il tasso di fertilità nel 2013 è stato mediamente di 1,43 per ogni donna, un aumento dello 0,02% dall’anno precedente, ma per mantenere il tasso di popolazione ai livelli attuali si dovrebbe salire oltre il 2. E sapete perché contano questi numeri? Semplice, perché proprio a causa dell’esplosione dei costi della sicurezza sociale e dell’assistenza dovuti all’invecchiamento della popolazione, alla fine di marzo il debito pubblico giapponese a sfondato quota 1 quadrilione di yen, per l’esattezza 1,02, in aumento di 33 triliardi dallo stesso periodo dell’anno precedente.
Che dite, avevate mai letto o sentito parlare dei lati oscuri dell’Abenomics da qualche parte finora? No eh, immaginavo. Attenzione quindi a brindare troppo alla Bce che compra e alla giapponesizzazione del nostro debito: dietro i titoli a effetto ci sono sempre delle clausole sgradevoli da leggere.